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lunedì 7 marzo 2016

SPIETATI GENTILUOMINI di Ginn Hale


Belimai Sykes è molte cose. È un prodigo, il discendente di antichi diavoli, una creatura di oscure tentazioni e rari poteri. È anche un uomo con un passato brutale e una pericolosa dipendenza. E Belimai Sykes è l’unico uomo a cui il capitano William Harper può rivolgersi quando deve affrontare una serie di sanguinosi omicidi. Il signor Sykes, però, non lavora gratuitamente e il prezzo della sua frequentazione costerà al capitano Harper ben più della sua reputazione. Dai palazzi suntuosi dei nobili, dove la vivisezione e la stregoneria sono celati da una patina dorata, ai quartieri malsani dei Bassinferi, il capitano Harper deve combattere per la giustizia e la propria vita. Ha molti nemici ma il suo unico alleato è un diavolo che conosce fin troppo bene. Sono questi i pericoli che si incontrano quando si ha a che fare con gli spietati.
“Spietati gentiluomini” è ambientato in una città immaginaria che assomiglia alla Londra dalle atmosfere tetre che rievocano il terrore di quando Jack Lo Squartatore, crudele e sanguinario, si aggirava per le sue strade.




“[…] Alcune storie d’amore finiscono un po’ peggio di altre.”

Quando bussano alla sua porta un medico e il capitano dell’Inquisizione per Belimai Sykes cominciano i guai, poiché non sono venuti ad arrestarlo ma per usufruire dei suoi servigi. Intendono incaricarlo di scoprire il più possibile sul rapimento di Joan Harper, moglie del dottor Talbott e sorella dell’Inquisitore William Harper.
Belimai Sykes è un prodigo, discendente di uno degli angeli caduti, un ibrido e un emarginato per la società in cui vive, ma dotato di particolari poteri di cui molti richiedono l’utilizzo. I prodigi sono facilmente riconoscibili per la pelle di un pallore quasi mortale, gli occhi felini e per i loro lunghi artigli neri, ma questi tratti anziché imbruttirlo lo rendono alquanto affascinante e desiderabile; ciò che in molti non apprezzano di lui sono il trincerarsi dietro ad un sottile sarcasmo e la durezza del suo carattere, a peggiorare le cose ha una forte dipendenza dall’oforio dovuto ad un periodo durissimo di prigionia e tortura negli Uffizi dell’inquisizione.
 
“Torbide lacrime grigie mi riempivano gli occhi. […] Gli Uffizi erano luoghi sacri. Erano silenziosi, puliti, e luminosi. Perfino i confessionali erano sommessi e calmi. Gli inquisitori e i confessori non dileggiavano né urlavano minacce. Chiedevano tutto cortesemente. I coltelli d’argento, i chiodi e le macchine di preghiera erano semplicemente strumenti con i quali perseguivano la verità assoluta. Tutto quello che pretendevano era la completa onestà. Era quello il vero orrore delle camere interne dell’Inquisizione.”

William Harper è un uomo controverso, dalla personalità austera e dai molti segreti. La motivazione che lo ha spinto a diventare capitano dell’Inquisizione non è delle più nobili, ma i gesti che realizzerà all’interno del romanzo vi faranno molto rivalutare questo personaggio.
Ciò che mi ha attirato di questo libro è stata la copertina, così particolare ed insolita. Non conoscevo questa scrittrice, ma a lettura conclusa mi sento di dirvi che il suo talento è innegabile.
La storia si presenta divisa in due “mini libri”: il primo è quello di Belimai ed è scritto in prima persona, il secondo è quello di Harper, scritto in terza persona ma che ci consente di avere una panoramica più ampia e di cogliere alcuni dettagli correlati alla prospettiva di Belimai.
Lo stile di scrittura è d’effetto, le descrizioni sono veramente minuziose ed evocative da permetterci di respirare quel clima così cupo e gotico di quest’Inghilterra e di sperimentare pienamente il crescendo delle indagini in cui sono coinvolti i protagonisti.
Le tematiche trattate sono molteplici: demoni, corruzione, crimini cruenti, lealtà, amore omo-erotico, la concezione incostante ed effimera del Bene e del Male e molto altro ancora; tutto per spingere il lettore a godersi la lettura ma anche a riflettere.
Il rapporto tra i due è dettato da un misto di autolesionismo e voglia di evadere dalla realtà, le scene d’amore non sono per niente esplicite, ma vengono scritte in maniera delicata senza risultare volgare.



Portai il capitano Harper nelle mie stanze e gli sfilai il cappotto nero e il collare da prete. Lentamente gli tolsi i guanti, esponendo le sue lunghe dita. Le unghie erano rosa e lucide come l’interno di una conchiglia. Ognuna era sormontata da una perfetta mezzaluna bianca. Baciai la pelle morbida del palmo. Il suo corpo immacolato era tutto quello che il mio non sarebbe mai stato. Ero affamato di quella perfezione.

È impossibile non affezionarsi a Belimai e Harper, in particolare il primo è il personaggio che ho maggiormente apprezzato: un “uomo” dalla natura abnorme sopravvissuto a torture indicibili, ridotto all’ombra di ciò che era un tempo ma dalla tempra indistruttibile; la Hale delinea in poche pagine una psicologia complessa che non ci dà la possibilità di catalogare il personaggio in rigidi schemi, egli non è né tra i buoni, ma neppure tra i cattivi. Perciò non mi resta altro che dirvi di buttarvi a capofitto in questa storia così caratteristica ed intensa.



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