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venerdì 17 marzo 2017

Giornata d'autore: FRANCESCA NOTO






Lea Schneider ha un dono, o forse una maledizione. Riesce a percepire con impressionante chiarezza le emozioni altrui. È sempre stato un fardello complicato da gestire, in grado di trasformare la sua adolescenza in un inferno. Anni dopo, le sue capacità tornano a manifestarsi con forza. In preda a strani sogni premonitori, Lea decide di fuggire verso la regione più selvaggia della Florida, dove è stata concepita vent’anni prima.
Ciò che non sa è che quel viaggio ‒ come il suo dono ‒ fa parte di un disegno più grande. Chi è Sven, il ragazzo senza un passato e dotato di capacità ben più potenti delle sue? Nuove forze scoprono le carte di una partita antica, di cui i due giovani sono il fulcro.
Lea e Sven si troveranno nel mezzo del conflitto tra i Waerne, antichi guardiani della nostra realtà, e i Fjandar, asserviti a esseri che di questo universo non fanno parte, ma che diverse volte hanno interferito con le sue sorti. Mentre un portale tra i mondi rischia di essere profanato, Lea dovrà trovare il coraggio di guardarsi dentro e affrontare le proprie paure.
Intanto, Ragnarök, il crepuscolo del mondo, si avvicina...



Un solo pensiero le attraversò la testa, tanto concreto da addensarsi in un’immagine precisa, che poteva essere espressa soltanto con la parola home. Pronunciata come la pronunciava Billy Idol quando cantava White Wedding.
Rialzò il viso verso di lui, e lo vide sorridere. Quando le loro labbra si incontrarono, non fu come quella prima confusa volta a Key West, un indugiare inconsapevole in un desiderio che era rimasto tale senza concretizzarsi. Per un attimo si guardarono negli occhi, poi Lea serrò le palpebre e si lasciò andare alle sensazioni. Giù ogni barriera, accogliendo le emozioni di lui come se fossero le proprie. Gli strinse le braccia al collo e dischiuse le labbra, desiderando un contatto più profondo e sensuale. Il suo sapore era quello che aveva sempre immaginato, mentre le loro lingue si trovavano, intrecciandosi in una danza selvatica e istintiva, come se in quel bacio si fossero ritrovati dopo un’eternità, una volta di più. 
Sentì le sue grandi mani nervose accarezzarle il busto e insinuarsi con dolcezza sotto la t-shirt, sfiorando la pelle nuda, tracciandovi sopra spirali lievi, delicate e potenti al tempo stesso. E non ebbe neanche il tempo di capire se le sensazioni che provava, e quel desiderio caldo come un falò sotto un cielo estivo, appartenessero soltanto a lei o fossero intrecciati a ciò che provava lui. Sapeva però di non essersi mai sentita così, tra le braccia di un uomo. Allora lasciò che accadesse. E che Sven la riconducesse a casa.



«Scatenalo», sussurrò Julma, suadente. «Lo senti, non è così? Ora capisci cosa ho visto in te...». La sua voce era come una carezza di seta, sensuale e impalpabile. Si insinuava tra i suoi pensieri, come un serpente in un canneto, senza rumore. «Scatenalo». Quasi un ordine, adesso, il tono più secco, imperativo. «Lascia che ti domini... e sii tu a dominarlo. Prendi in mano il tuo destino, Valoisa, accetta la tua grandezza».
[...]
«Lo ricordi, vero?», incalzò in quel momento Julma, facendo un passo avanti. I suoi occhi erano abissi di un’oscurità insondabile. La forza della sua mente continuava a inchiodarlo sul posto, prospettandogli possibilità inattese. «Ti hanno temuto, scacciato. Ucciso. Gli uomini hanno paura di chi è diverso, di chi è potente. Hanno avuto paura perfino dei tuoi miracoli». Un altro passo. Le sue mani sembravano scintillare come d’acciaio cromato. «Eri tu. Sei sempre stato tu, in mille vite prima di queste, il rinnegato che hanno colpito con sassi e bastoni, il martire bruciato sul rogo. Valoisa, colui che porta la luce. Ma non la vogliono, la tua luce, non nel modo in cui hai sempre pensato. È questa l’umanità che vuoi proteggere? È questa la gente che merita il tuo perdono?».
La pressione si fece insopportabile. Sven rialzò lo sguardo in quello vorticante di oscurità dell’altro. Arricciò le labbra, scoprendo i denti serrati in una smorfia selvatica. «Ci sei sempre stato tu, dietro alle loro paure», dichiarò, la voce così bassa e profonda da sembrare essa stessa il brontolio cupo del tuono.
E quella voce si levò in un ruggito: «Ci sono sempre stato io, a vegliare sui loro incubi».



Non gli spettava un’appartenenza, non l’aveva avuta mai. Questo soltanto sapeva.
E mentre la velocità aumentava, mentre il tarmac nero e lucido sembrava ondeggiare come un serpente, un black mamba sinuoso e immenso che si perdeva nell’oscurità all’orizzonte, sentì le lacrime della corsa rigargli le guance pallide. 
Forse non era destinato a trovare ciò che aveva sempre cercato. Forse era sbagliato esattamente come l’avevano sempre dipinto.
Davanti a lui, la strada galleggiava, esplodendo in bolle indistinte. 
Sentì la ruota posteriore slittare di colpo, scivolargli da sotto, la velocità eccessiva che lo tradiva. Cercò di riprendere il controllo del mezzo, ma anche la sua amante vecchia e impetuosa lo tradì, a quel punto. Il mondo diventò un caos di colori e luci e ombre, e per alcuni attimi che sembrarono durare in eterno, si rese conto di essere sospeso in aria, le braccia distese come ali. La gravità non esisteva più, e lui era lì, appeso a testa in giù in un’eternità sconvolgente. Ebbe il tempo di pensare che forse era stato lui a volerlo. Che forse chiudere la partita così era meglio. Prima che tutto diventasse davvero insopportabile.
Poi le ali si spezzarono.
Dissolvenza. Buio.



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