Pagine

giovedì 28 novembre 2019

Blog Tour Dark Zone: Giovanna Avignoni - Debora Mayfair - Barbara Parodi



[…] Aveva già percorso più di metà strada quando una sorta di tremolio ingestibile cominciò a solleticarle lo stomaco diramandosi poi verso gli arti e il collo che, oltretutto, iniziarono a sudare.
Aveva sperimentato che in quei casi poteva essere utile pensare a qualcosa che la potesse distrarre. Si fermò a controllare i prezzi degli abiti esposti nella vetrina di un negozio da uomo. Non essendo interessata, iniziò a sommare tra loro le cifre dei prezzi, a calcolare lo sconto e a sottrarlo dalla cifra iniziale.
Dopo aver rovistato a lungo, prese dalla borsa una caramella al mentolo, la scartò e la inserì in bocca. La caramella era talmente forte che le fece lacrimare gli occhi e ridere il cuore, allontanando un po’ la tensione.
Pian piano, così facendo e benedicendo il suo terapista, vinse l’incombente sensazione di malessere e smise di sudare. Fortunatamente non si era trattata di una crisi di panico, perché i sintomi erano riconoscibili come quelli tipici di un’ansia anticipatoria, quella che ne preannunciava l’arrivo, per tale motivo occorreva pensare ad altro e distrarre l’avversario.
Con un certo sollievo si rese conto che l’abitazione di sua madre non era distante, ancora soltanto quattrocento metri da percorrere e ce l’avrebbe fatta. Considerando che la sua falcata era lunga circa settanta centimetri, calcolò a mente che in poco meno di seicento passi avrebbe raggiunto la sua meta.
Così, iniziò a contare ogni suo passo e ad abbinarlo a un numero progressivo, in quel modo avrebbe distratto la paura che le stava con il fiato sul collo e l’avrebbe seminata. Doveva giocare d’astuzia, sapeva che il suo coraggio non l’avrebbe abbandonata.
«Cosa sono seicento passi, inizia a contarli, osserva i tuoi piedi che conquistano il traguardo. Uno, due, venticinque, cento...» […]

«Ecco: questo è un Re e questa è una Regina. Ondine, mi stai ascoltando?» chiede alla bambina, baciandole la nuca prima di posare il mento sulla sua piccola spalla.
«E questo cos’è?» indica con l’indice qualcosa sul volume.
«Quello è… un lupo, amore» tentenna Matthew.
«Un lupo come uno di quelli che sono nel castello della Regina Neve?» si volta a guardarlo, lui trattiene il fiato.
«Esattamente» dice Iris, appena giunta alle loro spalle.
Anche Iris è mutata, diventando più… oscura, oserei dire. Non ho avuto occasione di conoscerla, prima, ma da quando il gemello è morto è evidente che abbia perso con lui una parte di sé. Forse si sente addirittura in colpa perché Björn è morto per proteggerla dalla furia di Bianca.
«E cosa ti ho insegnato a fare, in caso ne incontrassi uno?»
Iris sorride alla piccola, accarezzandole una guancia.
«Devo fingere di farmi prendere, e poi affondargli il pugnale nel collo!»
Ondine ride, sfila uno dei coltelli assicurati al petto di Matthew e mima dei fendenti in aria.
No, mia figlia non vivrà mai il mondo come l’ho vissuto io. Purtroppo.
«Ehi, ciao, Margie!»
Étienne si affaccia dalla porta che collega salotto e cucina. Tiene per mano Sebastian, che sembra restio a superare la soglia e stringe al petto un drago di peluche.
«Questa sera siamo timidi…»
Il piccolo, imbarazzato, si nasconde dietro le gambe di Et, ma continua a fissare di sottecchi Matthew.
Tira una manica della maglia di Étienne per farlo scendere alla sua altezza, prima di sussurrargli: «Papà, lo sai che non mi piace, quello lì…»
«Chi non ti piace?» lo stuzzica Matthew, facendogli una linguaccia, mentre riprende il coltello dalle mani di Ondine e lo ripone.
«Tu non mi piaci! Come puoi piacermi se mi fai sempre le linguacce e hai in braccio la mia ragazza?» si lamenta Sebastian, mentre noi adulti scoppiamo a ridere.
«Io non sarò mai la tua ragazza!» ribatte la mia Ondine.
Lui sbuffa scocciato.
È proprio la fotocopia di Björn… come se non bastassero i capelli biondi legati dietro alla nuca in un codino e gli occhi azzurri.


Il dottore guardò la foto della ragazza: aveva lo stesso sguardo di Sophy. Lesse altre cartelle, trovando qualcosa di abbastanza strano: tutti pazienti erano giovani, fra i diciassette e i ventotto anni. Decise di appuntare quei dettagli per poterne parlare con Sophy non appena ne avesse l’occasione: c’era qualcosa che non tornava alla razionale mente del dottore, eppure non riusciva bene a mettere a fuoco il problema. Nonostante sapesse con assoluta certezza che tre ragazzi avessero camminato per quel corridoio una settimana prima, non vi era traccia del loro passaggio e, mentre gli oggetti che avevano spostato testimoniavano la loro presenza, non vi erano impronte per terra. Il dottore guardò nella direzione dal quale era arrivato: le impronte sue e dei due poliziotti erano ben visibili sullo spesso strato di polvere, perché quelle dei ragazzi no?

Nessun commento:

Posta un commento