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venerdì 1 aprile 2016

Giornata d'Autore : CRISTINA KATIA PANEPINTO


Quando il PM Amedeo Cantini viene condotto davanti al cadavere di una giovane modella assassinata, capisce subito che quello sarà il caso più difficile della sua vita. Abbandonata dentro un cassonetto nei pressi del Parco delle Cascine di Firenze c'è infatti la figlia di Emma Aldori, suo grande e sofferto amore di gioventù.

Travolto dai fantasmi del passato, il magistrato chiede all'ex-moglie, la terapeuta Violetta Salmoiraghi, di affiancarlo nelle indagini. Insieme cominceranno a investigare sugli ultimi mesi di vita della ragazza e si addentreranno in un gioco di specchi fatto di tradimenti, intrighi e bugie, fino alla scoperta di un raccapricciante segreto, dietro cui si nasconde l'ombra omicida del Fioraio di Monteriggioni.

Il romanzo racconta un tema difficile, in cui la componente emotiva e sentimentale gioca un ruolo importante. E' l'amore, o quello che a volte si reputa tale, a trascinare nel baratro le vite dei protagonisti, ma è sempre questo sentimento ad offrire, alla fine, l'unica via di riscatto.



Dai vetri impolverati del finestrino avvistò alcune nubi bianche che si addensavano in lontananza sul profilo ondulato della Valdelsa. Scivolò sul sedile, abbandonandosi all'armonico rincorrersi delle colline e il dondolio regolare del vagone l'aiutò a calmarsi. Capì che era tardi per i ripensamenti. Salendo su quel treno, aveva accettato la tacita proposta di tregua di Amedeo, che finalmente si era deciso a coinvolgerla nei suoi rapporti con una famiglia da cui l'aveva sempre tenuta lontana. Se voleva essere all'altezza della situazione, non le restava quindi che mettere da parte le proprie paure e finirla di vedere in Emma un'invisibile rivale.
Alla stazione di Poggibonsi trovò ad attenderla un anziano autista dal sorriso aperto, con cui percorse i morbidi declivi fino alla Tenuta degli Aldori. Sulla soglia di un suggestivo casale settecentesco fu ricevuta da Adele, la segretaria personale di Saverio, che con modi cerimoniosi e sfuggenti la condusse in un salone affacciato su una rigogliosa limonaia.
La stanza profumava di mobilio antico e libri. A passi lenti, Violetta si accostò alla parete dove campeggiavano i diversi riconoscimenti assegnati al vino degli Aldori e si mise a scorrerli uno dopo l'altro, fino a giungere a un'ampia scrivania di mogano. Sul cuoio verde che ne ricopriva la superficie, vide una fotografia strappata in quattro. Ne accostò i frammenti con la punta delle dita e le comparve una bambina dai capelli biondi, seduta in grembo a un giovane uomo.
Mentre se ne stava china a osservare la foto, Saverio entrò dalla porta a vetri, ben ritto sulla sua elevata statura. Violetta sollevò la testa e arrossì per essere stata sorpresa a spiare qualcosa che non la riguardava. Per dissimulare il proprio imbarazzo, lasciò risuonare nella sala un saluto eccessivamente squillante e allungò il braccio, andandogli incontro. L'uomo avanzò cordiale, ma si adombrò alla vista dei pezzi accostati sul bordo del tavolo. Fu comunque abile a controllare il proprio disappunto e si affrettò a ricambiare la stretta.


Il brivido di ribrezzo che colse Violetta al contatto con quella mano liscia e nodosa, la trovò del tutto impreparata e la fece indietreggiare leggermente.
Saverio non diede peso alla sua reazione e con cortesia la invitò ad accomodarsi su una delle poltroncine in pelle rossa, poste accanto all'ampia vetrata che dava sul giardino.



Mentre stava svoltando in via della Spada, vide Claudia sfrecciarle di lato. La ragazza, visiera sulla fronte e zaino in spalla, procedeva spedita, parlando animatamente al telefono. Si mise sulla sua scia cercando di non farsi notare e appena le fu possibile, si posizionò dietro di lei nella speranza di carpire qualcosa della telefonata in corso.
«Mi hanno buttata fuori e hanno messo i sigilli. Sono preoccupata per quello che abbiamo fatto. È stato un errore e vedrai che non servirà a niente. Non so come ho potuto darti retta... Non ci metteranno molto a capire tutto e se vorranno delle spiegazioni, dovremo dire che è accaduto per sbaglio. Questa storia mi dà la nausea…»
I rumori della strada costrinsero Violetta a spingersi un po' più avanti per riuscire a distinguere meglio le parole.

«Sanno che si drogava, ma per ora non credo che abbiano idea dell'altra storia. Comunque mi hanno chiesto con chi si vedesse e andranno a controllare i tabulati telefonici per scoprire con chi stava telefonando giovedì sera, quindi preparati, perché la faccenda prima o poi verrà a galla. Senti, fra poco arrivo e ne parliamo.»
Claudia riagganciò e Violetta le lasciò qualche metro di vantaggio fino a Piazza della Repubblica. Appena imboccarono il colonnato di via Pellicceria, nell'aria si diffuse un ritmico rullio di tamburi e il numero dei passanti cominciò a intensificarsi. Intuendo quanto stava per accadere, Violetta accelerò nuovamente il passo, ma nei pressi del Palagio di Parte Guelfa si trovò circondata da decine di volti in trepidante attesa, tanto che fu costretta ad avanzare a mento in su, per non perdere di vista quel cappellino rosso, ormai sperduto fra la gente.
Poi tutto accadde in un attimo.
Claudia arrivò all'incrocio, controllò rapidamente entrambi i lati della strada e l'attraversò d'un balzo, scomparendo nel fondo di un vicolo. Violetta scattò in avanti per fare altrettanto, ma fu afferrata da un vigile, che le indicò l’approssimarsi del corteo degli sbandieratori. Con un moto di stizza si tirò indietro e rimase a osservare lo spettacolo multicolore che le sfilava davanti. Osservò senza partecipazione il volo delle aste, contro cui si avvoltolava morbidamente la seta delle bandiere, e attese che i ragazzi, ripresi in mano con misurata maestria i loro trofei, salissero la scalinata dell'antico edificio, custode dei vessilli del calcio storico.
Quando la ressa dei turisti iniziò a disperdersi, si mise anche lei pigramente sulla strada del ritorno, ma alla svolta in via delle Terme una mano le si posò sulla palla, facendola voltare di scatto. Si tuffò negli occhi di Giulio e faticò a ritornare a galla.



Violetta sfrecciò per la stradina che costeggiava il retro degli Uffizi in direzione dell'Arno. Lei, che già di natura aveva un passo veloce, in quel momento si sentiva volare, trascinata da un'ira incontenibile.
Spintonando più di un passante, percorse il porticato sottostante al Corridoio Vasariano e, superato il Ponte Vecchio, tirò dritto tutto d'un fiato, arrivando sotto casa stremata. Nel tentativo di aprire il portone, le chiavi le caddero per terra. Lasciò andare un'imprecazione e ci riprovò, con le mani che tremavano a tal punto, da rischiare di rompere il metallo nella toppa. S'arrampicò ansimante per le strette scale fino alla porta di Giulio e afferrò l'anello d'ottone, sbattendolo contro il legno verde dell'uscio.
Nessuno rispose.
Non aveva considerato l'idea che potesse essere uscito, ma non si perse d'animo e continuò a bussare. Ad un tratto qualcosa si mosse dietro l'altra porta che si affacciava sul pianerottolo.
«Signora Casini! È possibile che non riesca mai a farsi gli affari suoi?»
Uno scatto secco segnalò che la vicina si era affrettata a coprire lo spioncino e Violetta riprese a picchiare con violenza.
«Ti decidi ad aprire questa maledetta porta?»
Distinse uno strascichio di passi all'interno, a cui seguì il cigolare lento delle mandate nella serratura. Attese che si aprisse uno spiraglio, poi spinse con furia, prendendo Giulio in pieno petto.
Si ritrovò all'interno di un'ampia stanza, illuminata unicamente dal cono di luce che filtrava dal pianerottolo. Appena riuscì a individuare la sagoma piegata dell'uomo che si massaggiava dolorante, gli si avventò contro, spingendolo nel buio.
«Ipocrita! Bugiardo! Come hai osato? Come hai potuto?»
Brancolando nella penombra, Giulio provò a immobilizzarla. Ne seguì una lotta convulsa, dove lui alla fine riuscì ad afferrarla per un braccio e a farla roteare, bloccandola contro di sé. La strinse forte, pressandole la bocca sulla nuca e ripetendo più volte di calmarsi. Il suo alito puzzava di alcol.
Con una smorfia Violetta cercò di liberarsi dalla morsa, ma capendo subito di non esserne in grado, abbandonò le forze, accasciandosi al suolo. Giulio la seguì nel movimento e rimasero agganciati per terra col respiro corto.
«Mi dai la nausea» mormorò lei, tentando debolmente di divincolarsi. Giulio la lasciò libera e si rimise in piedi, appoggiandosi al muro.
«Vedo con piacere che sei passata a darmi amichevolmente del tu.»
Chiuse la porta d'entrata e la stanza restò avvolta dall'oscurità. Violetta percepì i suoi movimenti sicuri e udì l'aprirsi di un'altra porta. Subito dopo l'ambiente fu scaldato da un bagliore rosato proveniente dalla camera adiacente.
«Stasera c'è qualche difficoltà con il sistema elettrico e qui dentro la luce non funziona.»
Le tornò vicino per aiutarla ad alzarsi, ma lei lo allontanò con disprezzo.
Giulio la guardò con freddezza e si spostò verso l'isola di divani posta sul lato destro del salone.
«Come vuoi, però ti avverto, sono molto ubriaco e faccio fatica a seguirti, quindi spiegami semplicemente perché ce l'hai con me.»



Violetta non reagì. Improvvisamente si sentiva svuotata e niente sembrava avere più senso. Perché si trovava lì? Cosa credeva di ottenere? A quanto era accaduto non si poteva rimediare. Tutto era troppo marcio in quella storia e ciò che le rimaneva era solo il disgusto e la voglia di andarsene. Si sollevò dal pavimento e si avviò per uscire, ma Giulio, con prontezza inattesa, corse a sbarrarle la strada.
«Eh, no! Tu non puoi venire qui, picchiarmi, insultarmi e poi sparire.»
Quel rimprovero bastò a riaccendere tutta la rabbia che l'aveva spinta fin lì.



2 commenti:

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  2. Grazie infinite per l'ospitalità. Se desiderate leggere di più, amore e mistero vi aspettano qui http://goo.gl/Tz6FCc

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