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venerdì 27 maggio 2016

Giornata d'autore: MELISSA PRATELLI


Charlie e Grace sono amici da sempre, fin dal giorno in cui Charlie, all’età di tre anni, prese per mano Grace per la prima volta, per non lasciarla andare mai più. 
Lei è una ragazza taciturna, atipica e brontolona. Lui è il sole che illumina tutte le sue giornate. 
Un unico linguaggio li accomuna, la musica. 
Un giorno però, qualcosa tra loro si spezza e Grace lascia New York con la sua famiglia. 
Quando, anni dopo, la ragazza torna nella sua città natale, inizia la disperata ricerca dell’unica persona davvero importante per lei… Charlie. Una vita vuota e solitaria, senza di lui. 
Riuscirà Grace a ritrovare l’amico perduto e a farsi perdonare per tutti gli anni di silenzio? 
La musica accompagnerà con il suo ritmo i due ragazzi, alla scoperta di un’amicizia che, forse, nasconde anche qualcosa di più…




«Perché sei mio amico?» gli domandò poi a bruciapelo. Charlie era come un fratello: le stava accanto, giocava con lei, le insegnava le parolacce e sembrava si sentisse in dovere di proteggerla. Ma loro non erano fratelli, lui non era tenuto a comportarsi così e Grace si domandava se a lungo andare non si sarebbe stancato di tutto ciò.
Charlie la fissò sgomento. «Eh?»
Grace lo guardò negli occhi: erano verdi all’esterno e nocciola attorno all’iride. «Perché sei mio amico?» ripeté. «Insomma… io ho un carattere orribile» aggiunse.
«Non hai un carattere orribile» disse lui, ridendo. «Sei una tipa tosta e matta. Per questo mi piace stare con te» spiegò.
«Ma dai! Sono più simile a un orso eremita che a una ragazzina di dodici anni. Non sono certo ciò che si definisce una persona ‘carina’.»
Charlie la guardò di nuovo, serio. «Non voglio che tu sia carina, voglio che tu sia tu.»



Charlie restava in silenzio, continuando a sorreggerla e ad accarezzarle i capelli. «Ho sempre sperato che saresti tornata» disse poi.
Grace scivolò giù da Charlie e lo guardò incredula. «Perché? Per quale ragione possibile tu non mi detesti?»
Lui sorrise, in un modo così dolce e indifeso che a Grace sembrò ancora il bambino di tre anni che l’aveva trascinata dentro l’asilo. «Mi mancavi.»
                                        
                                       

Charlie sbuffò. «Quando baci qualcuno non hai voglia di fare dell’altro?» concluse lui, apparentemente privo di imbarazzo.
Grace pensò attentamente a come rispondere poi però si rese conto che stava parlando con Charlie, il suo Charlie, e non c’era ragione di mentirgli.
«Non saprei. Io non ho mai baciato nessuno» disse semplicemente.
Per poco il ragazzo non cadde dalla sedia dallo sgomento.
«Non è vero!» sbottò, guardandola con gli occhi sgranati.
Grace si agitò sul posto. «Grazie tante, così sì che mi fai sentire a mio agio» borbottò. Come faceva da piccola, incrociò le braccia e mise il broncio.


Charlie fece spallucce. Non voleva mancare di rispetto a Nicole ma per lui toccare Grace era sempre stata una cosa normale. Era come se fossero parenti.
«Meglio evitare in sua presenza, in pubblico ecco» suggerì, sperando che Grace non se la prendesse.
«Sì, potrebbe sembrare strano.» All’improvviso sembrò realizzare una cosa e aggiunse: «con questo non voglio dire che non devi più abbracciarmi o prendermi la mano! A me piace che mi tocchi!»
Charlie abbassò lo sguardo e si morse un labbro. «Quest’ultima frase ha un significato piuttosto equivoco» le fece notare.
Grace sbuffò. «Solo perché sei tu a essere equivoco»


Charlie ridacchiò. Una reazione che decisamente non si era aspettata e che la irritò anche un poco.
«Cosa c’è da ridere adesso?» grugnì, stringendo i pugni.
«È che non sei cambiata per niente, sai? Fai tutto da sola!»
Grace riprese a camminare. «Bene. Allora un’altra cosa che farò da sola sarà tornarmene a casa!» sbraitò, con l’unico risultato di far ridere Charlie ancora di più.
«Smettila! Stupido idiota!» sbottò, voltandosi a guardarlo.
Il ragazzo smise di sghignazzare e la fissò, con un mezzo sorriso. In quel momento Grace avrebbe voluto avere la sua macchina fotografica, Charlie era perfetto. Si stagliava magnificamente su un equilibrato gioco di luci e ombre: dietro di lui la sagoma scura dell’Empire State Building tagliava il cielo sfumato d’arancio, rendendo la figura di Charlie un’ombra indistinta su cui l’unica cosa visibile risultava essere quel sorriso obliquo che lo rendeva adorabile e detestabile al tempo stesso.
«Ti sembrerei pazza se ti chiedessi di restare immobile così finché non torno con la mia Reflex?» domandò, improvvisamente dimentica di tutto il resto.
Charlie la guardò sgomento. «Per te posso restare qui fermo per l’eternità»
                                           

Il ragazzo sembrava davvero addolorato. «Mi dispiace Grace, scusa se non sono venuto.»
Grace notò il rimorso nei suoi occhi verde e nocciola e lo perdonò immediatamente. «Non importa» replicò, abbassando lo sguardo.
Charlie rinsaldò la presa sulla mano. «Importa invece.»
«No, Charlie. Tu hai la tua vita e non puoi stare sempre appresso a me.» Era quello che avrebbe dovuto pensare, invece voleva che lui le stesse sempre accanto.
«Grace» Il ragazzo la bloccò. «Tu sei parte della mia vita e io voglio esserci per te.»
La ragazza annuì leggermente, con un groppo in gola. «Ho paura.»
Charlie la abbracciò e la cullò dolcemente. «Lo so.»


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