<<Federico Franzoni, detto Franz, è così: ricco da far schifo, più brillante di un diamante, simpatico praticamente a tutti e, manco a dirlo, di una bellezza irritante. Io lo odio>>
Siamo a Bologna nel settembre del 1994 e questo è il primo pensiero di Gionata Draghetti quando incontra, il primo giorno di allenamento, un suo compagno di scuola appena tornato dagli Stati Uniti.
Presto però questa opinione cambia, a dispetto di tutto.
Chissà Franz cosa ne pensa di lui…
Sono rimasta piacevolmente colpita da questo romanzo, italianissimo e molto be scritto. Avevo già avuto modo di apprezzare questa scrittrice con “Amnesie a Paris”, ma la Bologna degli anni ’90 descritta questa volta è davvero ottima.
La storia è molto scorrevole ed i personaggi molto ben caratterizzati anche se le vicende sono narrate dal punto di vista del vero protagonista: Gionata Draghetti. Per sua autodefinizione è uno sfigato dai capelli rossi che l’intera scuola prende in giro perché omosessuale dichiarato. Non che il suo outing sia stato propriamente voluto, ma un gesto simile all’inizio degli anni novanta aveva un impatto sicuramente diverso piuttosto che ai giorni nostri.
Federico “Franz” Franzoni è l’opposto di Gionata, è rappresentate d’istituto, ben voluto da tutti e leader nato. Dopo un anno passato negli States è ancora più popolare, ma nessuno lo conosce veramente al di là della facciata del “super Franz”, nessuno a parte Gionata.
I due si avvicinano grazie allo sport che praticano: la pallavolo. Anche chi fosse digiuno di tale sport, i match sono descritti con tale passione che non si può evitare di appassionarsi agli incontri, soprattutto per la finale Italia-Olanda del 1994.
Insomma una lettura emozionante che fa sorridere, commuovere e ricordare un’Italia dove crescere era sicuramente più bello e “vero”.
So che molti sono disgustati anche solo all’idea che due come noi possano aver fatto quello che abbiamo fatto. Cosa c’è di così sbagliato in due persone che si amano? In cosa siamo stati “contro natura”?
L’unico momento “contro natura” che ho avvertito è stato quando ci siamo alzati e rivestiti per tornare in un mondo che mai potrà sentire in pieno quello che abbiamo sentito noi.
«Sai benissimo che non è così. L’essere il cameriere di un pub non significa essere il servitore di certe teste di cazzo. Portare una birra non significa inchinarsi a una inesistente superiorità altrui.»
«Franz, tu non hai capito un cazzo: nel tuo mondo fatato di Gramsci e Che Guevara funziona così. Nel mondo reale no. Fare il cameriere significa interpretare un ruolo che i clienti ti mettono addosso: ci sono quelli che ti vedono come un amico da cui andare a bere qualcosa, le ragazze che ti ordinano mille cose solo per attaccare bottone e quelli a cui piace sentirsi superiore.»
Lo amo e, nonostante i lividi, riesco a baciarlo. Lui mi stringe a sé delicatamente, senza farmi male. «Denunciali, John, e non temere per la mia reputazione. Preferisco che tutti sappiano che ti amo, piuttosto che tutti pensino che sei uno che non ha il coraggio di difendersi. Perché tu non sei un debole.»
Sono commossa. In questi due loschi figuri c'è molto di me, loro coetanea e concittadina ❤️
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