martedì 29 marzo 2016

Intervista a Barbara Coffani



1. Ciao Barbara, benvenuta nel nostro Blog. Prima di parlare delle tue opere, ti va di raccontarci qualcosa di te?

Ciao, grazie per la vostra accoglienza. Dunque, qualcosa di me...  sono sposata, ho una figlia adolescente, vivo a Verona, a una cinquantina di km dal mio paese di nascita e da alcuni anni faccio la prof., insegno spagnolo; mi interesso di miti e antropologia, adoro ballare, sentire musica, camminare e fare lavori manuali, in particolare giardinaggio. Non avendo un giardino mi accontento dei balconi. 

2. Quando e perché hai iniziato a scrivere?

Ho cominciato da piccola, alle medie. All'inizio erano diari dove scrivevo i pensieri e le opinioni su quel che accadeva. Poi mi sono accorta che scrivere era un buon modo per sfogarmi, ad esempio quando c'erano delle cose che non mi andavano giù oppure cose che per me allora erano “forti”, che non potevo tenermi dentro ma neppure raccontare. Fra l'altro sono sempre stata molto solitaria e non parlavo molto, da ragazzina.  Non avevo occasioni di vera condivisione dei miei stati d'animo e spesso mi sembrava di non riuscire a farmi davvero capire come avrei voluto, quindi ho finito con l'evitare di parlare. Anche adesso ho un carattere chiuso, ci so fare poco con la gente. Un po' alla volta il dialogo con il diario si è allargato: nelle pagine ho cominciato a far parlare dei personaggi, a colorare le situazioni con dei dettagli, a raccontare meglio le loro emozioni, a renderle attraverso i dialoghi e insomma, sono nate delle storie in questo modo. Storie che traducevano spesso cose che vivevo dentro di me. 

3. Cosa rappresenta per te “scrivere”?

È proprio un'esigenza. Come ho detto, non comunico molto a parole, faccio fatica a dire quello che sento e penso, lo faccio in modo maldestro e se possibile lo evito proprio. O non mi escono le parole, o non trovo quelle giuste per ciò che vorrei esprimere, o tartaglio, o ci giro intorno, cose così. Invece scrivendo è tutto più facile perchè “vedo” il mio discorso dall'inizio alla fine e riesco a dargli una forma ordinata e sensata. Almeno credo... Guarda, c'è della gente che mi dice che trasmetto benissimo le cose scrivendo, e poi se parliamo mi dice che mi spiego male...

4. Da dove trai la tua ispirazione? Ascolti della musica mentre scrivi o segui qualche rituale particolare?

Mah guarda, l'ispirazione è dappertutto...  sono una che osserva tanto, cè pieno di cose curiose in giro. Mi capita che da un gesto, o da un suono, o da un'immagine, mi parta un pezzo. Magari senza capo né coda in apparenza. Però ho preso l'abitudine di segnare tutto, perchè poi finisce sempre che li uso, quei pezzi. Alla fine vanno sempre al posto giusto. Sembra quasi che la storia esista già di suo, e che io non faccia altro che coglierne dei frammenti, un po' come andare a caccia di farfalle col retino, dove le farfalle sono i pezzi della storia che ancora non ho scritto tutta. Forse questo trarre spunti dalla quotidianità lo devo a mio nonno perchè mi ricordo che quando ero piccola, lui mi teneva sulle ginocchia e leggeva il giornale ma non si limitava a leggere: trasformava completamente le notizie, spesso in maniera irriverente. Lo faceva specialmente con i necrologi, pensa, per far ridere, e diventava tutto una comica coi suoi commenti. Aveva molta fantasia e penso che me l'abbia trasmessa perchè a volte lo faccio anche io. Specialmente in situazioni dove si dovrebbe stare seri.  
La musica c'è sempre nella mia vita. C'è in particolare quando devo scrivere di emozioni. Funziona così: ascolto la musica, mi sgorga l'emozione, l'emozione prende la forma di particolari immagini che poi io devo solo descrivere.
E poi, possibilmente, scrivo a notte fonda o al mattino molto presto, quando nessuno mi distrae. Quando scrivo voglio fare solo quello. Naturalmente ci vuole vicino un buon caffè bollente.

5. Parliamo ora del tuo ultimo libro, “La Herbaria”. Come è nata l’idea per questo romanzo?

Ah questa è un'idea vecchissima. Risale ai tempi del liceo. Il personaggio di Rosa è nato mentre osservavo una mia amica che saltellava in cortile. Si era appena tinta i capelli di nero-blu ed era tutta contenta perchè diceva che i suoi capelli sembravano ali di corvo. Avevamo 17 anni, allora andavano di moda i dark... e insomma è nata Rosa che faceva scatenare il temporale pettinandosi i lunghi capelli neri. Quello è stato proprio il nucleo della storia, che ora nel romanzo è il punto dove Rosa si scontra con il prete. Fra l'altro questa è anche una credenza popolare, che quando le streghe si pettinano piova con il sole e venga l'arcobaleno. Poi una volta, litigando con un ex fidanzato, anziché rientrare a casa mi sono intestardita a restarmene a dormire tutta la notte seduta sotto un albero e da lì poi è nato il resto della storia, che ho ripreso l'anno scorso con la forma definitiva della Herbaria.

6. Oltre al romanzo “La Herbaria”, di recente è stato pubblicato anche un tuo racconto, “La memoria del grano”. Io l’ho letto e l’ho trovato davvero particolare, ti va di parlarcene?

Grazie, volentieri. Questo ha avuto una genesi particolare. Un'amica psicologa – quella che ha scritto la prefazione ai Racconti della Rosa - voleva capire la faccenda dei frammenti di storie che a volte ho l'impressione di cogliere, di cui ti dicevo prima. Lei voleva capire cosa mi succede quando accade, (penso che mi stesse analizzando) e io le spiegavo che era come se le storie arrivassero giù come una sassata sulla testa, proprio in mezzo, sulla sommità, dove c'è la scissura tra i due emisferi del cervello. Fra l'altro quello è un punto che mi fa soffrire particolarmente quando mi viene mal di testa. Ok, quando arriva una storia nuova, non sono più capace di pensare ad altro e la mia testa è completamente piena di lei. E le spiegavo che a volte è proprio come se ci fosse qualcuno che me la racconta e io non posso ascoltare altro, e mentre glielo descrivevo mi è venuta l'idea di scrivere una storia così: di una bambina che sente la voce dello spirito di sua madre, una strega, che le racconta come sono andate le cose durante il suo processo per stregoneria. Nel frattempo alcuni amici musicisti mi hanno raccontato della relazione fra gli accordi musicali e gli stati d'animo e dell'influenza sull'umore delle alterazioni presenti negli accordi e io ho fatto due più due, e è nato il diavolo che suona un Fa minore e irretisce e fa impazzire Margherita, eccetera eccetera. Fra l'altro se non ricordo male non ci sono molti brani musicali per violino in Fa minore. Infine è bastato documentarsi su come si svolgevano i processi e sostituire alle trascrizioni degli scrivani i discorsi di Margherita a sua figlia. Volevo tanto dare voce a chi non ha avuto  la possibilità di esprimersi magari per le torture, per la paura o per altri motivi. E poi, dopo il racconto, mi è venuto voglia di metterlo in scena con mia figlia e un amico che suona il violino, Viktor Csany. È venuto un lavoro suggestivo, adesso ne sto studiando una versione con l'Inquisitore.

7. Entrambe le opere sopracitate possono essere catalogate come racconti popolari che trattano argomenti legati alla famosa caccia alle streghe. Quanto c’è di inventato e quanto di reale nelle tue storie? 

Per scrivere entrambe queste storie mi sono documentata su come funzionavano i processi per stregoneria e sulle credenze relative alla stregoneria, con i testi di Luisa  Muraro e di Ezio Gerbore ma anche di Franco Cardini, quindi le dinamiche di cui parlo sono vere, anche se i personaggi sono tutti inventati. Poi per quanto riguarda La Herbaria, il contesto geografico è proprio reale perchè come sai l'ho ambientato a Molina, in Valpolicella, vicino a casa mia.

8. Potresti proporci una breve panoramica dei tuoi lavori pubblicati fino ad oggi? Io ti ho conosciuta con “Veleno e pozioni d’amore” anche se firmato Imogen Barnabas, un nome che non si dimentica facilmente…

Sì, quella fu una scelta dell'editore. Allora c'è Seguendo la luna, pubblicato con Nuova Ipsa, uno studio sugli archetipi che sottostanno ai ritmi e alle fasi della vita della donna; c'è Veleno e pozioni per Ophiere; c'è I racconti della rosa che ho autopubblicato, da cui ho tratto La memoria del grano ma anche Un thé con Eva e Le sirene, che sono diventati tutti e tre copioni teatrali; c'è Symballo, che è un testo erotico per il quale fra l'altro Luigi Scapini ha disegnato 11 tavole una più bella dell'altra, anche questo autopubblicato; poi ci sono dei manuali di salute naturale e delle guide sulle erbe per le Edizioni del Baldo, alcuni articoli usciti sulla rivista d'arte Bacchanale e, dell'anno scorso, c'è il libretto per un'opera lirica nuova su Giulietta e Romeo, che ho scritto per un musicista di Verona. E poi l'ultimo è La Herbaria. 

9. Cosa consiglieresti a chi volesse diventare uno scrittore?

Di leggere tanto e stare in ascolto perchè fuori di noi ci sono un sacco di cose interessanti da cui prendere spunto. Di lavorare tanto, perchè anche se ti sembra di essere bravo quando riprendi in mano un lavoro dopo un certo periodo ti accorgi spesso che avresti potuto fare di meglio e che c'è da sistemare ancora parecchio. Di far leggere e chiedere impressioni su quello che si scrive, perchè questo ti fa migliorare. Ma soprattutto di non trattenersi, quando si scrive. Di lasciar proprio andare tutto perchè quello che abbiamo dentro è comune a molta gente e poi le persone vengono a dirtelo, che leggendo una storia ci si sono ritrovati e sono stati bene.

10. Grazie mille Barbara per la disponibilità e il tempo che ci hai dedicato,  ma prima di lasciarti ho un’ultima domanda: progetti per il futuro?

La verità? Nessun progetto. Ho scritto tanto, e adesso voglio stare ferma per un po'. Le storie sono treni che ti attraversano, sai... sono come febbri.
Grazie a voi per la vostra accoglienza e simpatia, è stato un piacere. E complimenti per il vostro buon lavoro. 

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