Un impero millenario è in rovina, e lo scontro è inevitabile. L’impatto si rivela subito immane, le perdite incalcolabili. I capi non si sottraggono ai duelli, le battaglie diventano feroci. È la legge della Grande guerra. Un’amara sorpresa è in agguato.
Tutto sembra perduto, quando l’imperatore, i paladini e i generali soccombono. Un viaggio inaspettato nel Mare astrale porterà il maestro e Karl su Hyachinto, alla ricerca dell’unico negromante che ha scoperto il segreto della vita eterna, con la vana speranza di chiedergli l’impossibile.
Sullo sfondo, viaggi in dimensioni parallele e intrighi dei servitori del male, con maghi, elfi e nani in cerca di un riscatto.
La terra iniziò a tremare sotto il possente galoppo dei cavalli da guerra della Legione testa d’ariete, lanciati a ritmo forsennato. I millecinquecento cavalieri procedevano compatti contro il muro bestiale, vociante e deforme dei pelle-verde, usati dai nemici come riserva di carne da macello per sostenere il primo micidiale urto dell’avanguardia imperiale. Il cuscinetto che dovevano creare si sarebbe sfaldato in pochi istanti, ma tanto bastava a creare un cumulo di cadaveri per rendere disagevole l’avanzata. Una tattica cinica, pur sempre efficace.
Alla carica! Avanti in nome del sommo Drago! La vittoria nelle nostre mani, per amor del fausto destino!
Hyachinto era una città pressoché bizzarra. Non aveva uno schema preciso, ma un’espansione caotica. Sembrava che nessuno si fosse preoccupato mai di rispettare anche le più basilari leggi dell’urbanistica. Palazzi attaccati l’uno all’altro senza regole, finestre che affacciavano in altre finestre, vicoli che diventavano vie consolari all’improvviso e viceversa. Nulla aveva una disposizione logica; tutto era affastellato a formare più livelli. Gli strati più bassi erano più opprimenti, e di conseguenza i più poveri. I quartieri più alti erano più ricchi; lì vivevano i nobili e le autorità cittadine. Il colore azzurro regnava ovunque. L’unica variazione erano le sue sfumature: da scuro a un celestino così brillante da sembrare cristallo e offendere chi non era abituato a tanto fulgore.
«Io Abraxas, signore dei nove inferni, padrone dei quattro flagelli e comandante delle schiere dell’Abisso, sfido te, Derfel gran maestro dell’Ordine della spada ardente in un duello!».
Ecco la sentenza che Derfel aspettava con tanta ansia.
«Mi dispiace deluderti, Abraxas! Non sono più gran maestro, da quando ho ceduto il compito a un giovane valoroso che freme dall’ansia di fronteggiarti! Sono solo Derfel il Senza-titolo. Se sono ancora alla tua altezza, sarò lieto di accettare il tuo invito».
Abraxas non rispose, si limitò a scendere dal suo drago e sguainare la spada. Era evidente che il signore oscuro lo riteneva ancora al suo livello. E la conferma indiretta lo riempì di un profondo orgoglio. I due si fronteggiarono per qualche minuto. Ognuno studiava l’avversario con molta prudenza. Derfel sapeva benissimo che aveva di fronte un guerriero abile e astuto. Lo stesso valeva per il Nero, sapeva che non avrebbe affrontato un nemico qualunque.
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