venerdì 20 ottobre 2017

FLORA LA PAZZA di Roberta Andres


Flora ha quarant’anni e accusa da sempre problemi psicologici dovuti all’assenza del padre e a una madre manipolatrice, segnata dal passato proprio come la Napoli che respira e sospira in sottofondo. Flora intreccia una relazione asimmetrica con Nino che, usandola per il suo mero piacere, trova riscatto ai propri problemi di balbuzie e di scarsa autostima. La situazione acuisce i disturbi di Flora che accoltella Nino e viene ricoverata in un ospedale psichiatrico. In un contesto diverso, con un percorso accidentato e faticoso, Flora troverà sé stessa e accettazione, mentre i dolorosi echi lontani si dissolveranno nella consapevolezza del suo e dell’altrui destino.

All'inizio, quando andava da lui, era felice e piena di sé: non era mai stata bella e aveva ormai gli anni della maturità, eppure sfiorava il marciapiede come una divinità, piena di amore e di luce. Una femmina diventata morbida, matronale. Avrebbe potuto chiudere gli occhi e attraversare la strada, col suo diadema di capelli bianchi, lo strascico di foglie che seccavano nella fine di quell’estate arida, certa che le macchine si sarebbero fermate; tra le dita di una mano, come scettro, il biglietto dell'autobus che l'aveva trasportata, tra la gente ignara, fino all'angolo di una strada qualsiasi di una qualsiasi metropoli del Sud Italia.


Flora è una ragazzina di mezza età, una donna sui quarant’anni dall’aspetto piacevole anche se trasandato. Una ragazzina la cui mente è rimasta intrappolata nelle maglie di un passato che non è stato per nulla generoso, una donna che vive oppressa dalle proprie ossessioni. La sua infanzia di bambina un po’ originale, ma colma di sensibilità, è stata segnata dall’abbandono del padre e dai continui maltrattamenti psicologici di una madre, Lena, che non aveva gli strumenti necessari per crescere una ragazzina così particolare. Non è che Lena non si prendesse cura di Flora, soltanto non era in grado di comprendere e arginare nella maniera giusta i comportamenti bizzarri della bambina, inoltre Lena riversava sulla figlia tutta la sua frustrazione per l’abbandono del marito facendone sentire Flora l’unica responsabile. Un rapporto difficile e conflittuale destinato a peggiorare con l’andare del tempo fino a rendere Flora prigioniera della propria mente e delle emozioni che nessuno le ha insegnato a gestire.

La sensazione che sentiva era un “troppo di tutto”, un caos indistinto in cui non capiva le reazioni di sua madre e spesso si spaventava, si arrabbiava e diventava selvaggia; così s'arrabbiava anche la donna ed era una spirale a chi si irritava di più ed era più pazza tra loro due. A Flora riusciva bene, bastava fare il contrario di quello che le veniva richiesto, ma anche la madre era brava, al punto che Flora non riusciva a prevederla. Cucinava pietanze buonissime per poi servirle a tavola avvelenandole di rancore. Teneva la bambina attaccata a sé per paura di perderla, ma le si rivolgeva con odio.
E’ così che le condizioni psicologiche di Flora peggiorano fino a farne una persona chiusa in sé stessa, incapace di rapportarsi con la realtà in maniera conscia, ma con un subconscio che sgomita per farsi strada dentro di lei fino a trasformarsi nella “voce” che sussurra subdola alla sua mente. Un giorno Flora incontra Nino, un cuoco balbuziente che vede in lei un modo per sentirsi “uomo” senza mettersi mai in gioco. Nino approfitta della vulnerabilità di Flora, gode del suo corpo, le regala qualche momento di piacere ma le nega prepotentemente quel calore umano e la reciprocità che rendono unico e vero un rapporto d’amore. Nino si prende tutto quello che Flora è in grado di dargli, nutre il proprio ego sbandierando davanti agli occhi dei compagni di lavoro le sveltine consumate nella cella frigorifera del ristorante, la porta in giro per la città riempiendola di chiacchiere su monumenti e Chiese antiche, non le chiede mai cosa abbia voglia di fare ma, soprattutto, si vergogna di lei davanti ai suoi amici. Intanto la “voce” cresce dentro alla mente di Flora e il disagio s’ingigantisce a dismisura. Flora non è stupida, legge i comportamenti sbagliati di Nino e soffoca le umiliazioni fino al giorno in cui la “voce” ha il sopravvento e Flora tenta di uccidere Nino colpendolo con un coltello, dentro al ristorante.
Allora si inquietava e Nino se ne accorgeva così, dopo aver salutato gli amici, la richiamava vicino a sé. Lei lo seguiva girando la testa da un lato, senza guardarlo, con l'aria imbronciata e ostile. − Cos'hai? - chiedeva Nino, smettendo di balbettare – Parla, cos'hai? - Flora restava ammutolita, senza spiegare cosa provasse, sicura che quello che aveva immaginato, tutta la sua acredine e il suo senso di esclusione, avessero motivi reali.

Potrebbe essere l’inizio della fine ed invece è una rinascita. Flora passa molto tempo all’interno di una clinica psichiatrica ed è proprio lì che, grazie ad un medico attento, a un barman dal cuore grande e a una donna delle pulizie un po' fuori dalle righe, Flora riesce a riprendere i fili della propria vita. Il primo passo è quello di liberarsi della pesante e ossessiva presenza della madre poi tutto il resto viene pian piano restituendo al mondo una ragazzina finalmente trasformata in donna, con la mente libera, il cuore leggero e gli strumenti necessari per prendere il volo sulle ali della sua nuova vita.

Era la prima volta che Pablo la sentiva pronunciare il nome dell’uomo che lei aveva tentato di uccidere la sera di Natale. Vedendola così provocante e aggressiva gli venne in mente tutto quel che gli avevano riferito come pettegolezzo. Eppure non era riuscito a immaginarla protagonista di un episodio violento: non una donna tanto dimessa, dall'aspetto debole, dolcissima, che gli compariva davanti ogni giorno. Flora si era accomodata silenziosa a un tavolino, per diventare man mano più viva, ma comunque sempre riservata e fragile.

Questo è un libro che sembra quasi una favola, di quelle che partono tristi e poi si trasformano man mano in un inno alla vita e alla dignità delle persone. Gli argomenti trattati sono molto seri e la malattia mentale viene raccontata in tutte le sue sfaccettature, ma con delicatezza e cognizione di causa. Flora è un’eroina dei tempi moderni che riesce ad attraversare le sbarre dei propri limiti ed ergersi fiera di riprendersi un posto nel mondo. I personaggi complementari sono ben delineati e veritieri; persone che s’incontrano ogni giorno per strada, al lavoro, in casa all’ospedale e che possono influenzare nel bene o nel male le nostre vite: tutto dipende dal potere che permettiamo loro di avere su di noi. Degni di nota gli scorci artistici di una città, Napoli, che tanto ha dato al patrimonio culturale della nostra bella Italia. Vi sono anche alcune appassionanti ricostruzioni storiche che risalgono al periodo della liberazione e più in generale alla seconda guerra mondiale. La prosa è scorrevole, forse un po' titubante nella parte iniziale ma poi snellisce e la lettura scivola via flessuosa pagina dopo pagina. Insomma, un romanzo piacevole consigliato a chi non disdegna di fare un viaggio nella mente umana, nei sentimenti profondi, nella storia e nella cultura. 

Dimenticavo: non è per niente noioso come si potrebbe pensare visti gli argomenti trattati; tutt’altro!

Buttatevi!

Roberta Andres vive a Pescara, con i suoi due figli; insegna Italiano  nella  Scuola secondaria e dal 2009 Scrittura creativa presso la Facoltà di Psicologia Clinica dell’Università “D’Annunzio” a Chieti. Tra il 2007 e il 2009 ha tenuto gruppi di scrittura creativa. Ha collaborato con riviste di letteratura e didattica, e ha curato rubriche on line. Ha iniziato a pubblicare nel 1999 vincendo in seguito alcuni concorsi di narrativa. Nel settembre 2015 è uscito il suo primo romanzo, “Le foto di Tiffany”, a cui hanno fatto seguito “Perfetto Blu” e “Flora la Pazza” oltre che “Il Piano B: Come trovare il Lit-blog che fa per te” in collaborazione con Simona Colaiuda e Lorena Marcelli.

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