Penny sorrise di nuovo. Aveva
imparato a contare con estrema precisione i minuti, i secondi necessari perché
il primo cliente alzasse la mano per passare al gradino successivo.
«Tre, due, uno…»
«Signorina!» Hiroe aveva parlato
con voce più ferma, eppure sempre aggraziata ed elegante: «A questo punto, se
non le dispiace, vorrei qualcosa di più… forte».
Penny annuì. Guardò Sean, muto,
immobile, in attesa. Soppesò ogni infinitesimale movimento dei suoi muscoli
fonatori perché la frase uscisse dalle sue labbra nel momento esatto.
«Certo, signora. Immagino che
tutti vorrete unirvi a lei.»
In effetti i bicchieri di quasi
tutti i presenti si erano svuotati a metà del racconto di Zack ed Elizabeth.
Anche se solo alcuni di loro erano soliti bere abitualmente tutti furono
d’accordo con quella strana e affascinante cameriera.
«Molto bene. Vado a prepararvi il Black Angel, la specialità della casa,
proprio mentre il signor Sean inizia a parlarci di lui.»
Lo disse come un’affermazione. Il
ragazzo, sentendo il suo nome pronunciato ad alta voce, alzò gli occhi, dietro
alle lenti degli occhiali e deglutì. Si sforzò di non sembrare stupido, e cercò
nella sua mente brillante una risposta acuta adatta a zittire quella cameriera
strafottente. Non la trovò.
Naturalmente, nessuno dei presenti
aveva pensato per un solo istante che quella serata fosse «normale» almeno non
nel senso intrinseco del termine. Mentre ascoltavano i discorsi degli altri,
eccezion fatta per Hiroe, ognuno di loro era stato rapito dalla vita e dalle
emozioni delle storie, pur ridendo, nel frattempo, dentro di sé, al pensiero di
snocciolare i suoi più intimi segreti di fronte a sette sconosciuti.
Eppure, uno a uno, a turno,
avevano contraddetto il loro volere e la loro razionalità. Era la magia dell’End of the Road; come la lancetta
inesorabile di un orologio non può far altro che proseguire il suo ticchettante
cammino verso l’ora successiva, i clienti del bar erano costretti a parlare. E
il bello è che dopo averlo fatto, si sentivano liberati.
Non le diede il tempo di
rispondere, si alzò in piedi e, scavalcando lo schienale, se ne andò in camera;
Nika si accigliò, distendendo però le rughe sulla fronte nel vederlo rispuntare
con la Takamine dodici corde. Tornò a
sedersi e cominciò a pizzicare le corde come nulla fosse, guardando Nika.
«Se voglio toccare qualcosa ho
sempre una scelta» le disse ammiccando e con un filo di voce, in cui le parole
si perdevano in un vibrato tanto basso da fare da tappeto agli accordi della
chitarra.
«Sono convinta che ci
guadagneresti se ti mettessi con la Dama
Nera, invece di perdere tempo con me.»
«Lei non è gelosa, sa che avrà
sempre le mie attenzioni» ribatté sorridendole. «Le persone e le donne vanno e
vengono, io e lei raccontiamo quelle storie a modo nostro, leccandoci le
ferite.»
A volte la
vita si scaglia su di te come un cane idrofobo. Se ti muovi, ti morde. Se ti
afferra alla gola puoi sperare di morire subito, ma se ti afferra ai testicoli…
è un’altra cosa. Era la stessa realtà oggettiva, l’identica metafora che
immaginavo nel momento in cui aprii quella soffitta. La mia mente navigava
ormai in acque sconosciute e non potei far altro che lasciarmi cullare. Avevo
la sensazione di attraversare l’oceano con una zattera. Avrei avuto mille motivi
per dubitare di me stesso. Sapevo che
era lì, in qualche angolo nascosto e impolverato, ad attendere di essere
liberata dalle catene.
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