Belimai
Sykes è molte cose. È un prodigo, il discendente di antichi diavoli, una
creatura di oscure tentazioni e rari poteri. È anche un uomo con un passato
brutale e una pericolosa dipendenza. E Belimai Sykes è l’unico uomo a cui il
capitano William Harper può rivolgersi quando deve affrontare una serie di
sanguinosi omicidi. Il signor Sykes, però, non lavora gratuitamente e il prezzo
della sua frequentazione costerà al capitano Harper ben più della sua reputazione.
Dai palazzi suntuosi dei nobili, dove la vivisezione e la stregoneria sono
celati da una patina dorata, ai quartieri malsani dei Bassinferi, il capitano
Harper deve combattere per la giustizia e la propria vita. Ha molti nemici ma
il suo unico alleato è un diavolo che conosce fin troppo bene. Sono questi i
pericoli che si incontrano quando si ha a che fare con gli spietati.
“Spietati
gentiluomini” è ambientato in una città immaginaria che assomiglia alla Londra dalle atmosfere tetre che rievocano il
terrore di quando Jack Lo Squartatore, crudele e sanguinario, si aggirava per
le sue strade.
“[…] Alcune storie d’amore finiscono un po’ peggio di altre.”
Quando
bussano alla sua porta un medico e il capitano dell’Inquisizione per Belimai
Sykes cominciano i guai, poiché non sono venuti ad arrestarlo ma per usufruire
dei suoi servigi. Intendono incaricarlo di scoprire il più possibile sul
rapimento di Joan Harper, moglie del dottor Talbott e sorella dell’Inquisitore
William Harper.
Belimai
Sykes è un prodigo, discendente di uno degli angeli caduti, un ibrido e un
emarginato per la società in cui vive, ma dotato di particolari poteri di cui
molti richiedono l’utilizzo. I prodigi sono facilmente riconoscibili per la
pelle di un pallore quasi mortale, gli occhi felini e per i loro lunghi artigli
neri, ma questi tratti anziché imbruttirlo lo rendono alquanto affascinante e desiderabile;
ciò che in molti non apprezzano di lui sono il trincerarsi dietro ad un
sottile sarcasmo e la durezza del suo carattere, a peggiorare le cose ha una
forte dipendenza dall’oforio dovuto ad un periodo durissimo di prigionia e
tortura negli Uffizi dell’inquisizione.
“Torbide lacrime grigie mi riempivano gli
occhi. […] Gli Uffizi erano luoghi sacri. Erano silenziosi, puliti, e luminosi.
Perfino i confessionali erano sommessi e calmi. Gli inquisitori e i confessori
non dileggiavano né urlavano minacce. Chiedevano tutto cortesemente. I coltelli
d’argento, i chiodi e le macchine di preghiera erano semplicemente strumenti
con i quali perseguivano la verità assoluta. Tutto quello che pretendevano era
la completa onestà. Era quello il vero orrore delle camere interne
dell’Inquisizione.”
William Harper
è un uomo controverso, dalla personalità austera e dai molti segreti. La
motivazione che lo ha spinto a diventare capitano dell’Inquisizione non è delle
più nobili, ma i gesti che realizzerà all’interno del romanzo vi faranno molto
rivalutare questo personaggio.
Ciò che mi
ha attirato di questo libro è stata la copertina, così particolare ed insolita.
Non conoscevo questa scrittrice, ma a lettura conclusa mi sento di dirvi che il
suo talento è innegabile.
La storia si
presenta divisa in due “mini libri”: il primo è quello di Belimai ed è scritto
in prima persona, il secondo è quello di Harper, scritto in terza persona ma
che ci consente di avere una panoramica più ampia e di cogliere alcuni dettagli
correlati alla prospettiva di Belimai.
Lo stile di
scrittura è d’effetto, le descrizioni sono veramente minuziose ed evocative da
permetterci di respirare quel clima così cupo e gotico di quest’Inghilterra e di
sperimentare pienamente il crescendo delle indagini in cui sono coinvolti i
protagonisti.
Le tematiche
trattate sono molteplici: demoni, corruzione, crimini cruenti, lealtà, amore
omo-erotico, la concezione incostante ed effimera del Bene e del Male e molto
altro ancora; tutto per spingere il lettore a godersi la lettura ma anche a
riflettere.
Il rapporto
tra i due è dettato da un misto di autolesionismo e voglia di evadere dalla
realtà, le scene d’amore non sono per niente esplicite, ma vengono scritte in
maniera delicata senza risultare volgare.
Portai il capitano Harper nelle mie stanze
e gli sfilai il cappotto nero e il collare da prete. Lentamente gli tolsi i
guanti, esponendo le sue lunghe dita. Le unghie erano rosa e lucide come
l’interno di una conchiglia. Ognuna era sormontata da una perfetta mezzaluna
bianca. Baciai la pelle morbida del palmo. Il suo corpo immacolato era tutto
quello che il mio non sarebbe mai stato. Ero affamato di quella perfezione.
È
impossibile non affezionarsi a Belimai e Harper, in particolare il primo è il
personaggio che ho maggiormente apprezzato: un “uomo” dalla natura abnorme
sopravvissuto a torture indicibili, ridotto all’ombra di ciò che era un tempo
ma dalla tempra indistruttibile; la Hale delinea in poche pagine una psicologia
complessa che non ci dà la possibilità di catalogare il personaggio in rigidi
schemi, egli non è né tra i buoni, ma neppure tra i cattivi. Perciò non mi
resta altro che dirvi di buttarvi a capofitto in questa storia così caratteristica
ed intensa.
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