martedì 22 ottobre 2019

Blog Tour Dark Zone: ELYSS di Valerio la Martire

Un brivido gli corse sulla schiena. Si girò di scatto e vide una creatura ai limiti del della zona illuminata in cui aveva trovato rifugio. Non l’aveva sentita arrivare, non aveva percepito nulla. Né i suoi sensi allenati, né i suoi incantesimi di protezione lo avevano avvisato del pericolo. Si meravigliò nel rendersi conto che stava mentalmente pregando che la luce non si spegnesse, che la creatura non potesse entrare dove era illuminato.

Appariva umana ma non lo era. I suoi occhi brillavano d’oro e la sua pelle era troppo bianca per essere quella di un essere umano.

«La luce del lampione attira sempre» la voce della creatura bassa e gutturale.

«Tu sei...» Devon mise a fuoco quel viso e si strinse il braccio e il tatuaggio.

«Già, io sono, e quel tatuaggio non ti servirà a molto. Venite sempre attratti dalla luce, come le falene. Poi però finite bruciati.»

La creatura allungò le mani verso il cilindro di luce, poi le ritrasse sorridendo. Una luna di denti bianchi contornati da labbra sanguigne.

«Io sono in contatto con il Vaticano, se mi fai del male verranno a cercarti.»

«Peggio per loro.»

Devon richiamò alla mente le parole dell’incantesimo di fuoco che conosceva meglio, il suo cavallo di battaglia, quello che usava quando voleva impressionare qualcuno o quando si trovava davanti a un nemico troppo forte.

Un cerchio magico comparve davanti alle sue dita, dal quale saettò uno strale di fiamme incandescenti.

Troppo veloce per essere deviato, troppo rapido per essere controincantato.

Colpì la creatura in pieno petto sbalzandola leggermente indietro.

Ma non la uccise.

Quella alzò lo sguardo che adesso brillava di una luce più intensa, le labbra si stirarono in un sorriso, poi arrivarono le sue parole, strascicate e dense.

«Ancora stregone. Ne voglio ancora.»

La creatura avanzò di due passi ed entrò nel cono di luce del lampione.

«Una lampadina non ti salverà.»

Devon evocò il potere del tatuaggio di protezione e il mondo esterno si fece ovattato, reso distante dalla barriera che si era innalzata intorno a lui. Si mise a correre per raggiungere la sicurezza della Basilica, corse senza girarsi indietro, corse senza pensare più a nulla se non salvarsi la pelle.

Il velo che lo ricopriva si sfilò da lui come un guanto, i sensi di nuovo colpiti dal freddo dell’aria e dal rumore dei propri passi.

La creatura gli comparve davanti senza preavviso. I muscoli di Devon si bloccarono e lui non poté più muoversi.

«Non farà male. Domani non ricorderai nulla e dovrai solo pensare a costruirti una vita da umano.»

Le labbra della creatura erano fredde e secche. Si posarono sulle sue con poca grazia e la stanchezza arrivò con un’ondata violenta.

Devon sentì ancora quel tocco gelido sul collo e sul petto, ma la sua coscienza era già distante mentre si accasciava a terra.

Non era in grado di vederli, tantomeno di sentirli, ma i suoi tatuaggi magici, eredità del suo passato di studi e ricerche, stavano strisciando sul corpo, correvano verso le labbra della creatura per essere assorbiti, per essere mangiati.

Insieme a loro il suo potere magico venne risucchiato via, i suoi studi, le sue conoscenze, parte dei suoi ricordi.

La creatura era già distante e lui rimase a terra a tremare per ilfreddo. La luce dei lampioni tornò, la nebbia si dissolse alla prima folata di vento caldo, le nuvole si diradarono lasciando spazio alla primavera calda della capitale.

Al risveglio, Devon, stregone cacciatore, collaboratore dell’Inquisizione, nemesi di tante creature magiche fuori legge, profondo conoscitore delle arti magiche, non sarebbe rimasto che un ragazzo di trent’anni, belloccio e ben vestito, sbronzo per aver bevuto troppo con gli amici a San Lorenzo. Un ragazzo come tanti altri allo sbando e senza un posto nel mondo, un po’ depresso e alla ricerca di un lavoro.

La cosa peggiore sarebbe diventata il ricordo. La memoria di ciò che era stato, il senso di perdita del futuro che si era costruito e che non avrebbe più potuto recuperare.

Con lo studio, ricominciando da zero, forse sarebbe riuscito a padroneggiare di nuovo qualche incantesimo. Niente di eclatante, era troppo vecchio per tornare un vero cacciatore, troppo debole per tornare a essere temuto e rispettato.

La paura di quella notte era destinata a diventare una compagna per la vita, il senso di impotenza e debolezza un inquilino fastidioso, che avrebbe potuto scacciare solo con alcol e droghe.

Non avrebbe potuto più capire, non avrebbe potuto più armeggiare la magia. Avrebbe solo potuto assaggiarla e sfiorarla, al massimo comprarla o rubarla.

E il dolore sarebbe sempre aumentato.


«Pensavo che a Roma facesse caldo in questo periodo» disse indicando lo spolverino nero.

«Sì, infatti si muore con questo coso addosso ma ne ho bisogno per nascondere i miei strumenti magici. Se vedi uno con uno spolverino in estate a Roma, stai pure certa che è uno che traffica con la magia» intanto ci incamminammo verso l’uscita. «In ogni caso sotto porto solo una maglietta, fa caldo uguale ma non muoio.»

Uscimmo nel parcheggio dove avevo lasciato la mia fiammante Fiat Uno Hobby blu degli anni ’90. Ultima visita da un meccanico, negli anni ’90 appunto. Ultimo lavaggio... più o meno lo stesso periodo.

Era un pezzo d’antiquariato, il mondo la definiva un rottame ma cavolo se ero affezionato a quel catorcio! L’avevo comprata con i soldi che avevo preso per il primo lavoro di natura magica: un wiccan che aveva pasticciato con un rituale insieme a un paio di amici.

L’auto si mise in moto con un allegro scoppio sonoro e un rumore ritmico e cigolante di pale e pistoni. La cara vecchia musica che preannunciava sobbalzi, improvvisi colpi di tosse del motore e lunghi fischi a ogni frenata.

Un bel po’ di persone si girarono a guardarci mentre arrancavamo verso l’uscita. La mia piccolina catturava l’attenzione tanto quanto il decolté di Elyss.

«Sicuro che non ci fermeranno andando in giro con questa?» disse mentre cercava la cintura di sicurezza. «Ma non c’è il... seatbelt?»

«Le cinture di sicurezza? No, le ho staccate un paio di mesi fa. Ero in una situazione complicata con un satiro mezzo pazzo a Lariano, non avevo una corda con me, così... non ti preoccupare non ci dicono niente. Un comandante della municipale mi deve un favore e se pure dovessero fermarci vedrai che andrà bene.»

Elyss fece una risatina nervosa e un po’ acuta, poi si mise a guardare intorno.

L’abitacolo dell’auto era in condizioni forse peggiori della carrozzeria che pure era un bel Picasso. Il tessuto del tetto si era scollato in più punti e pendeva formando delle sacche molli e sospette, macchie di umidità e bruciature tappezzavano i sedili, il vetro era opaco di grasso e quello che sembrava un colpo di pistola decorava il lato del passeggero. In verità era il ricordo lasciato da una coccatrice che non voleva saperne di farsi portare via dal pollaio in cui era nata. Vari amuleti erano appesi allo specchietto retrovisore e un bastoncino d’incenso bruciava nel portaoggetti davanti al sedile del passeggero.

Elyss alzò un piede e vide che sotto di lei era iscritto un glifo di protezione, forse un po’ rudimentale per gli standard inglesi. Il suo sopracciglio era schizzato verso l’alto a mo’ di folgore.

«Quello serve in caso di frenata brusca» le spiegai.

«Are yousure? Mi sembra gli manchi un simbolo o due per non essere solo un tappetino macchiato.»

Buttai un occhio nella sua direzione e mugugnai qualcosa sul fatto che poi lo avrei ricontrollato.

«Posso mettere un po’ di musica?»

Si mise ad armeggiare con lo stereo dell’auto e la fermai al volo un po’ imbarazzato.

«No, lascia perdere. È un vecchio stereo a cassette. Figurati, fa un suono terribile.»

«Mh... that’s a pity» si girò a guardare fuori dal finestrino e con il cellulare scattò qualche foto.

Guidai in silenzio per alcuni minuti, poi mi resi conto che non avevo idea di dove avrei dovuto portarla. Non sapevo nemmeno se aveva prenotato una stanza in albergo o qualche bed&breakfast.

Glielo chiesi ma la risposta non fu quella che mi aspettavo.

«Ma a casa tua, ovvio!»

La Uno sussultò a tempo con me.

«A casa mia? Ma non ho posto, non posso ospitarti» cazzo casa era un cesso!

«Hai un divano e un bagno con la porta?»

«Sì, certo, ma...»

«Allora tu dormirai sul divano, non avremo bisogno di altro. Per quanto riguarda le lenzuola ci basterà passare a comprarle da qualche parte. Dove hai detto che abiti?»

«Sulla Casilina...» mugugnai ripensando al casino che avevo lasciato in casa. Ai cartoni di pizza sul tavolino, ai vestiti sporchi nel bidet del bagno, al groviglio di lenzuola del letto che avrei dovuto cambiare almeno tre settimane prima.

«Molto bene. Ci sono alcuni siti interessanti lì intorno, giusto?»

«Alcuni, niente di troppo importante.»

«Andrà benissimo!»

Più lei si dimostrava entusiasta e più il mio umore scendeva sotto le scarpe. Elyss mi sorrise smagliante.

Il trucco nero contornava gli occhi azzurri, le lentiggini si erano arricciate sugli zigomi, i capelli le ricadevano neri e lisci in ciocche sulla fronte e non trovai più nulla da obiettare.

Sei un mollusco.

Che ne capisci tu che non hai nemmeno un corpo fisico!


Una ragazzina mi si avvicinò insieme ad altre bambine. Mi prese la mano e dopo avermi salutato con enfasi si mise a studiare le linee del palmo con grande serietà.

Disse qualcosa nella sua lingua, ridacchiò insieme alle altre, poi si fece seria, con la fronte corrucciata e le piccole dita che seguivano le tracce della mia pelle. Alzò gli occhi e scosse leggermente la testa, mi diede un bacio sulla guancia e mi salutò tornando tra gli altri, portandosi appresso le amichette. Mi sa che aveva letto qualche sfiga.

Elyss invece era stranamente allegra. Aveva parlottato con Codruca, avevano guardato delle carte che penso fossero tarocchi e poi delle pietre divinatorie. Sembrava a suo agio con un bicchiere di vino a discutere in lingua rom.

Quando si venne a sedere vicino a me, mi ero distratto a guardare il fuoco e mi prese un po’ di sorpresa.

«Ehi, ti ho spaventato?»

«No, ero sovrappensiero» non riuscivo a togliermi di dosso quella sensazione viscida di aver fatto una schifezza, con quell’incantesimo di verità.

«Hai mangiato? È buona la carne, dobbiamo essere in forze per quando andremo al Castello.»

«Mh, sì» risposi laconico.

«Michele, non stare a corrucciarti per l’incantesimo di prima. Avrei fatto lo stesso al posto suo.»

«È che è stato così... intenso. Insomma...»

Elyss mi diede qualche pacca sulla spalla e mi fece sentire stupido e infantile, mentre lei che aveva subito si dimostrava tranquilla e superiore.

“Gelem, gelem, lungone dromensa...”

Goran si era messo in mezzo al cerchio, fisarmonica alla mano e aveva cantato queste prime parole a voce alta e dolorosa. Tutti intorno si erano fermati, avevano smesso di chiacchierare, di mangiare, di sorridere.

L’atmosfera era cambiata in un attimo, ogni paio d’occhi era puntato su di lui. Anche Alexander si era distratto dalla meditazione e stava prestando attenzione.

“MaladilembakhtaleRomensa

a Romalekatartumenaven,

e tsarensabahktaledromensa?”

Mi girai verso Elyss: «Che succede? Che dice?»

La canzone era triste e disperata, gli altri mormoravano le parole muovendo le labbra.

«È una canzone importante. Una specie di inno del popolo rom se mai potessimo immaginarne uno. Recita più o meno così:

“Camminando, camminando su lunghe strade

Ho conosciuto Rom pieni di gioia

O Rom, da dove venite

Con le tende, su queste strade felici?

Uomini Rom, giovani Rom!

Una volta avevo una grande famiglia

La legione Nera li ha uccisi

Venite con me Rom da tutto il mondo

Per i Rom si sono aperte strade

È il momento, alzatevi ora

Saliremo alti se partiremo

Oh Rom, oh fratello Rom.”

Parla dello sterminio del popolo rom da parte dei nazisti. Parla delle loro persecuzioni, dei loro sogni infranti. Parla della strada felice che hanno perso e che forse non troveranno più. Parla di persone che sono state perseguitate e disperse. Parla di quello che non sarà più.»

Goran ci guardava, aveva sentito Elyss parlare. Le sorrise e fece un inchino e tornò a sedersi.

Rimanemmo in silenzio per un po’, la musica allegra era ripresa e tutti avevano ricominciato a ballare, a bere e a magiare.

«Devi stare attento stanotte» mi disse.

«Come?»

«Sai perché muoiono i praticanti di magia? Non per il demone o per qualche altro motivo sovrannaturale. Non perché affrontano mostri o nemici più potenti. Queste sono solo fatalità. Ma gli incantatori non muoiono per delle semplici fatalità. Quelli come noi cadono perché in un mondo fatto di magia, dove puoi volare e comandare gli elementi naturali, ti dimentichi che la morte è possibile, ti dimentichi di essere solo un delicato involucro di carne e sangue e che la vita è fragile, molto più delle forze che governi. È proprio in quel momento che lei viene a prenderti. E a quel punto però è troppo tardi per tornare indietro.»

Elyss si girò verso di me e mi posò un bacio sulle labbra.

«Fai attenzione a non dimenticare che devi sopravvivere» si alzò e andò di nuovo a sedersi vicino a Codruca.

La festa era ricominciata ma non aveva più lo stesso sapore di prima.

Cercai di prepararmi a quello che sarebbe seguito, cercai di sentire il suo sapore sulle labbra ma c’era una domanda che continuava a martellarmi nelle orecchie.

Cosa sarebbe rimasto di me alla fine di questo viaggio?

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