Il mare non rinuncia mai ai suoi morti.Preparatevi a un viaggio in un luogo sconosciuto all’umanità. Uno spazio tra gli spazi. Quando la Mara Corday, una vecchia nave da carico, entra nel Cimitero dell’Atlantico, l’incubo diventa realtà. L’equipaggio si ritrova intrappolato in un mondo in cui il tempo non esiste e in cui dimorano orrori inimmaginabili. Persi in quel mare immobile, in un aldilà dove il male si manifesta in forme terribili, i sopravvissuti della Mara Corday hanno l’eternità
per trovare una via d’uscita… se prima non saranno uccisi dalle creature che danno loro la caccia.
ATTENZIONE:
Dead Sea è un romanzo molto lungo, molto claustrofobico dove non mancano violenza e un linguaggio altrettanto violento. Se elementi del genere non fanno per voi vi sconsigliamo di leggerlo.
Comincio questo mio commento avvalendomi delle parole di Gianni Pilo tratte dalla prefazione de “L’orrore del mare” di William Hope Hodgson:
4 marzo del 1918, l’imbarcazione statunitense USS Cyclops scompare nel nulla e con essa l’intero equipaggio composto da oltre trecento persone. Ancora oggi del relitto non vi è traccia.
Tim Curran prendendo spunto da questo fatto di cronaca, getta le fondamenta per un romanzo davvero avvincente.
Siamo sulla Mara Corday, una nave container che diretta nella Guiana francese centrale – si smarrisce nel Mar dei Sargassi, scenario di mille leggende e tutte una più agghiacciante dell’altra, ad un passo dal temutissimo Triangolo delle Bermuda.
Anche i marinai più esperti sono impotenti di fronte al malfunzionamento di tutte le apparecchiature e al dover fronteggiare mostri marini mai visti prima e il tutto avviluppati da una densa e anomala caligine.
Quando il nemico al quale bisogna tener testa è l’Ignoto esiste una qualche probabilità di salvezza?
In “Dead sea” si coniuga l’horror nella sua forma più genuina ad elementi tipicamente fantascientifici. Non entrerò nel merito perché potrei farvi degli spoiler importanti ed è quello che voglio scongiurare.
Ammetto che si tratta di un romanzo corposo, dal linguaggio scurrile e asciutto, caratterizzato da una nota cruenta nell’esposizione dei particolari ma che ciò nonostante scorre piacevolmente.
Pertanto suggerisco ai lettori non avvezzi a questo genere di contenuti di non approcciarsi al libro.
Non raggiunge il massimo della valutazione per il finale - che ho trovato decisamente frettoloso e un po' sottotono rispetto al resto - e per la mole, più di 500 pagine sono eccessive per una storia che ha tanto da offrire, ma si perde in reiterate e futili descrizioni, ritornando spesso sugli stessi punti come la consistenza della nebbia e dell’acqua o della sciagura che si è abbattuta sulla ciurma, così facendo si va a rallentare il ritmo della lettura che avrebbe potuto essere di sicuro più serrato.
L’autore non indugia oltre presentandoci da subito un clima tetro dove intuiamo si nascondano minacciose e raccapriccianti entità, reali incubi dalle profondità degli abissi.
Si serve della narrazione a POV alternati in maniera ammirevole; non c’è un unico protagonista ma sono alcuni membri dell’equipaggio – spesso in conflitto tra di loro, fra alleanze e dissapori - a raccontarci i momenti concitati di questa tragica esperienza; i personaggi hanno dei tratti distintivi ben definiti ed è proprio grazie a questa loro vividezza che riusciamo a provare la loro stessa asfissiante sensazione di essere in balia di cose più grandi di noi e che un'isteria collettiva comincia a serpeggiare implacabile tra i sopravvissuti.
La narrazione è conforme alle tematiche trattate e avulsa da sterili tecnicismi stilistici; gli eventi ci vengono proposti in una climax ascendente di tensione, ritraendo il lato più oscuro e spaventoso del mare in ogni sua sfumatura.
La vera forza del romanzo sta proprio nell’angosciosa atmosfera costruita a regola d’arte da Curran, a riprova di ciò posso dirvi che, più volte, leggendo ho sentito una morsa al petto per il forte scombussolamento che è stato in grado di procurarmi.
Non sembra esserci alcuna salvezza all’orizzonte per questi lupi di mare… Circondati da una fitta, luminescente e putrida nebbia che li attanaglia e su di un’infinita distesa d’acqua salata, dalla quale affiorano striscianti e fameliche creature.
Una scrittura funambolica, dai rimandi “lovecraftiani”, che cattura il lettore capitolo dopo capitolo lasciandolo senza fiato e con l’incalzante convinzione che accadranno cose fuori da ogni più pessimistica convinzione umana.
Se siete, quindi, alla ricerca di letture più fresche, ma senza rinunciare a un po’ di sano terrore associato ad un tema “marino”, questo è il libro giusto.
“[…] se pensate di fare presto un viaggio per mare, non continuate la lettura di questo libro...”
4 marzo del 1918, l’imbarcazione statunitense USS Cyclops scompare nel nulla e con essa l’intero equipaggio composto da oltre trecento persone. Ancora oggi del relitto non vi è traccia.
Tim Curran prendendo spunto da questo fatto di cronaca, getta le fondamenta per un romanzo davvero avvincente.
Siamo sulla Mara Corday, una nave container che diretta nella Guiana francese centrale – si smarrisce nel Mar dei Sargassi, scenario di mille leggende e tutte una più agghiacciante dell’altra, ad un passo dal temutissimo Triangolo delle Bermuda.
Anche i marinai più esperti sono impotenti di fronte al malfunzionamento di tutte le apparecchiature e al dover fronteggiare mostri marini mai visti prima e il tutto avviluppati da una densa e anomala caligine.
Quando il nemico al quale bisogna tener testa è l’Ignoto esiste una qualche probabilità di salvezza?
Ma cosa poteva esserci là fuori? Non lo sapeva, ma sapeva che erano vicine, cose indicibili che si scioglievano e trasudavano dalla nebbia, abomini striscianti e ghignanti con lune vuote per occhi, cose contaminate e cose malate con menti come pozze d’ossa. Cose il cui alito puzzava di cimiteri e tombe, cose con bocca di lampreda che gli avrebbero risucchiato l’aria, il sangue e la mente. Cose che si allungavano con dita uncinate e senza carne.
Ammetto che si tratta di un romanzo corposo, dal linguaggio scurrile e asciutto, caratterizzato da una nota cruenta nell’esposizione dei particolari ma che ciò nonostante scorre piacevolmente.
Pertanto suggerisco ai lettori non avvezzi a questo genere di contenuti di non approcciarsi al libro.
Non raggiunge il massimo della valutazione per il finale - che ho trovato decisamente frettoloso e un po' sottotono rispetto al resto - e per la mole, più di 500 pagine sono eccessive per una storia che ha tanto da offrire, ma si perde in reiterate e futili descrizioni, ritornando spesso sugli stessi punti come la consistenza della nebbia e dell’acqua o della sciagura che si è abbattuta sulla ciurma, così facendo si va a rallentare il ritmo della lettura che avrebbe potuto essere di sicuro più serrato.
L’autore non indugia oltre presentandoci da subito un clima tetro dove intuiamo si nascondano minacciose e raccapriccianti entità, reali incubi dalle profondità degli abissi.
Si serve della narrazione a POV alternati in maniera ammirevole; non c’è un unico protagonista ma sono alcuni membri dell’equipaggio – spesso in conflitto tra di loro, fra alleanze e dissapori - a raccontarci i momenti concitati di questa tragica esperienza; i personaggi hanno dei tratti distintivi ben definiti ed è proprio grazie a questa loro vividezza che riusciamo a provare la loro stessa asfissiante sensazione di essere in balia di cose più grandi di noi e che un'isteria collettiva comincia a serpeggiare implacabile tra i sopravvissuti.
La narrazione è conforme alle tematiche trattate e avulsa da sterili tecnicismi stilistici; gli eventi ci vengono proposti in una climax ascendente di tensione, ritraendo il lato più oscuro e spaventoso del mare in ogni sua sfumatura.
La vera forza del romanzo sta proprio nell’angosciosa atmosfera costruita a regola d’arte da Curran, a riprova di ciò posso dirvi che, più volte, leggendo ho sentito una morsa al petto per il forte scombussolamento che è stato in grado di procurarmi.
Un’enorme luna globulare si è alzata sopra la nebbia, adesso, ed è del colore del sangue fresco. Dipinge i ponti e la sovrastruttura di un fuoco rosso. Avverto un’affinità con le bestie del mare infestato e della nebbia. Sebbene aliene, vivono, sono carne e sangue. [...] È un appetito disincarnato, un sentimento maligno che ha fame e ha fame e si rimpinza delle ossa e delle anime degli uomini e si ingrassa come un ragno con la sofferenza umana e l’orrore.
Una scrittura funambolica, dai rimandi “lovecraftiani”, che cattura il lettore capitolo dopo capitolo lasciandolo senza fiato e con l’incalzante convinzione che accadranno cose fuori da ogni più pessimistica convinzione umana.
Se siete, quindi, alla ricerca di letture più fresche, ma senza rinunciare a un po’ di sano terrore associato ad un tema “marino”, questo è il libro giusto.
Tim Curran vive in Michigan ed è l’autore di numerosi romanzi, come Skin Medicine, Hive, Dead Sea e Skull Moon. Per la Cemetary Dance ha partecipato a Four Rode Out, un’antologia di novelle weird western insieme a Tim Lebbon, Brian Keene e Steve Vernon. Lo trovate online all’indirizzo www.corpseking.com
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