martedì 27 febbraio 2018

Blog Tour Dark Zone: Maria Patavia







Una piccola città di provincia è invasa da ombre che fagocitano interi quartieri senza che gli abitanti, chiusi nel loro mondo egoistico, se ne rendano conto. Ogni volta un misterioso mago è presente nei luoghi in cui avvengono strani accadimenti. Di chi si tratta?
Il lato oscuro nascosto dietro i volti ipocriti si srotola mischiando le paure ai sogni che diventano incubi e una realtà in continua trasformazione.




Si svegliò di soprassalto e intravide le prime luci dell’alba entrare attraverso i fori della serranda. L’unica cosa che si sentì di volere era cancellare i residui di quei sogni orrendi.
Si alzò dal letto infilando le pantofole e si diresse verso il bagno. Entrata in corridoio ricordò il sogno, ma quando controllò vide che le pareti erano pulite, tutto era come al solito. Tirò un sospiro di sollievo. Si sciacquò il viso con l’acqua fresca; non c’era metodo migliore per tornare alla realtà.
Attraversò l’ingresso ed entrò in cucina. Dalla porta-finestra entrava la luminosità di una splendida giornata priva di nubi.
Un piccione la guardò curioso, prima di spiccare il volo. Solo in quel momento Elisa avvertì un bruciore. Alzò la camicia da notte accorgendosi che era macchiata di sangue. Poggiò il piede su una sedia e si guardò. Il ginocchio era livido e graffiato.
Ripensò alla caduta del sogno, ma scosse la testa… non poteva essere successo davvero, in fondo si era svegliata nel suo letto.






L’ombra si allungò silenziosa scendendo dal muro. S’immerse nella piccola aiuola e ne divorò il verde. Penetrò sotto i mattoni che si gonfiarono e sbriciolarono creando una scia al suo passaggio.
Il buio s’infittiva al suo passaggio, lasciando il vuoto intorno a sé.
La luce del lampione fu inghiottita dall’oscurità e scomparve.
L’ombra sembrò ridere soddisfatta, confusa tra lo scricchiolio dei mattoni che uno dopo l’altro continuavano a divenire polvere. Era l’energia degli esseri viventi ad alimentare e rendere più forte la creatura. Si allungò ancora, tentò di toccare la corteccia dell’albero, ma non vi riuscì.
Doveva nutrirsi ancora per espandere la sua materia e raggiungerlo. Un altro lampione si arrese cedendo la sua luce alla tenebra. Pochi centimetri ancora e avrebbe toccato l’albero, rubandogli per sempre la vita. Sul marciapiede opposto un uomo che camminava a passo veloce attirò la sua attenzione. L’ombra si allungò arrivando finalmente a toccare l’albero. Il tronco cominciò a marcire, piegarsi e sciogliersi, fino a diventare una poltiglia. Presto le sue dimensioni sarebbero diventate tali da permettergli di divorare un intero quartiere, poi l’intera città, senza che nessuno se ne rendesse conto.






L’uomo proseguiva il suo meticoloso lavoro nella cucina, ormai illuminata dal sole. Ripulì le tracce del sangue con attenzione e le impronte lasciate sullo sportello del frigorifero in cui aveva riposto i resti dei dipendenti del locale catalogati e imbustati. Questa volta tutto doveva essere perfetto. Nel Pronto Pizza il suo lavoro era stato interrotto dall’arrivo della polizia non dandogli il tempo di finire di pulire. Per fortuna era riuscito a fuggire. Si era introdotto in un portone lasciato aperto ed era fuggito per le scale. Dal soffitto del palazzo aveva potuto godersi indisturbato le mosse della polizia che cercava di venire a capo dell’accaduto.







Una volta certo di aver terminato si sfilò i guanti di plastica e li mise in una bustina che chiuse ermeticamente e ripose nei jeans. Indossò un giubbotto e un cappello sportivo con la visiera e uscì senza dimenticare di togliersi dalle scarpe da ginnastica le buste che aveva usato per non lasciare impronte. Si voltò solo un attimo come per rimirare mentalmente il suo lavoro e soddisfatto riprese il suo cammino.



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