mercoledì 11 marzo 2020

Tappa Blog Tour Dark Zone: I Figli di Dany di Melissa Pratelli - SteamBros Investigations #3 di Alastor Maverick & L.A. Mely




Cornelius fece un passo nella nostra direzione, sfregandosi le mani, ma non gli avrei permesso di raggiungermi, né di rubarmi gli ultimi istanti da passare con Alexander. Allungai un braccio, tenendo il palmo rivolto verso il basso e lasciando scorrere quel fuoco che sentivo pulsare nelle vene. Nonostante la neve, nonostante il terreno bagnato, un cerchio fiammeggiante si accese attorno a me e chiuse fuori Cornelius, proteggendomi momentaneamente dai suoi attacchi.
In una sorta di trance, guidata solo dall’istinto e dal potere che mi scorreva in corpo, allungai la mano verso la cintola di Alexander e presi il suo pugnale. Lo rigirai tra le mani, quasi incantata dalla sua lucentezza, e lo portai al polso. Guardai gli occhi ormai privi di vita di Alexander e premetti la punta affilata sulla carne, incidendo una lunga porzione di pelle. Il sangue cominciò a zampillare dalla ferita e, mentre lo osservavo scivolarmi addosso, fui come folgorata da un’intuizione: spostai il polso sopra il petto di Alexander e lasciai che il mio sangue scorresse su di lui, miscelandosi al suo.
«Lego le nostre anime immortali. Rinasceremo per ritrovarci e per amarci di nuovo.»
«No! Fermaaa!» Cornelius gridò, cercando di oltrepassare il fuoco, ma senza riuscirci. Seppure indebolita, gli rivolsi un sorriso trionfante, consapevole che la mia morte gli avrebbe impedito di appropriarsi di ciò che voleva.
Guardai di nuovo Alexander. Il nostro sangue aveva formato una pozza unica sotto di noi, unito, come sarebbero state le nostre anime, per sempre.
«Suggello col sangue l’incantesimo e offro la mia vita in sacrificio. A presto, amore mio.»
Dopo quelle parole, mi portai il pugnale al petto e affondai dritto nel cuore.


Al centro esatto del vortice qualcosa brillava a intermittenza.
Un bruciore intenso mi colpì al polso destro. Il simbolo dell’albero della vita si era illuminato e l’intensità della sua luce mi stava accecando, oltre che scottando.
Lo ignorai e cercai un varco per oltrepassare le acque che vorticavano furiose. Dovevo muovermi, perché ero a corto di ossigeno e Lee era lì sotto da troppo tempo.
Ogni volta che provavo a penetrare nel vortice, l’acqua mi respingeva, più cercavo di combatterla, più lei rispondeva con una forza due volte più grande.
Il tatuaggio bruciò con maggiore insistenza, il bagliore al centro del vortice si indebolì e, a quel punto, tentai il tutto per tutto.
Mutai sott’acqua e sfruttai la forza del lupo per seguire la direzione della corrente anziché combatterla. Lasciai che l’acqua mi trasportasse dove voleva e, all’ultimo momento, quando finalmente intravidi la figura di Lee che fluttuava sul fondale, usai la spinta dell’elemento per uscire dalla scia del vortice e arrivare al suo interno.
Mi ritrasformai e afferrai Lee per il polso, proprio dove il suo tatuaggio dell’albero della vita lampeggiava con sempre minore frequenza.
La tirai a me e l’abbracciai, domandandomi se sarei riuscito a tornare in superficie prima di svenire a mia volta per la mancanza di aria. Fu in quel momento che accadde qualcosa di assurdo.
Il calore che percepivo al polso si fece molto più intenso e si diffuse lungo tutto il braccio, fino a inondarmi il petto, facendomi mancare il fiato.
Una luce fredda e potente scaturì da Lee, colpendomi in pieno, addensandosi là dove il mio petto bruciava, andando a lenire il dolore. Ero cieco, non riuscivo a vedere nulla e persi il senso dello spazio. L’unica cosa certa era il corpo di Lee stretto al mio.





Ad un tratto la figura di un soldato, trafelato e ansante, catapultò su di sé l’attenzione ponendosi di fronte ai due e poggiando le mani sulle ginocchia nel tentativo di riprendere fiato esclamò con tono ancora convulso per lo sforzo: «Stanno arrivando.» A sostegno dell’affermazione indicò, allungando il braccio verso il cielo plumbeo, un nugolo di lontani e numerosi puntini neri.
 «Diamine, ci pioveranno dritti in testa!» gridò sorpreso Briggs.
 «Sta per cominciare…» sussurrò la voce metallica del capitano. Con un gesto fluido estrasse, dalla fondina integrata al fianco della propria armatura potenziata, una spada lucente. L’impugnatura era molto simile alla manopola di un manubrio e quando la ruotò, un rombo e uno sbuffo di fumo bianco uscirono dalla base in cui era incastrata la lunga lama. Il filo, intinto di una sostanza oleosa, prese fuoco e la parte offensiva dell’arma fu avvolta da ruggenti fiamme bluastre. Briggs a sua volta imbracciò il fucile e ruotò la manopola armando la fiala del liquido esplosivo.
 «Non tratteniamoci» disse Shephard che nel frattempo aveva raggiunto i due accompagnato da Williams e Smith.
Attesero per lunghi momenti. Il concitato vocio degli ultimi ordini da parte degli ufficiali dell’esercito cedette il passo a un pesante silenzio. Oltre ai rumori delle armature e delle attrezzature non si sentivano più voci umane. Un ronzio sempre più insistente si avvicinava con l’avanzare dello stormo di zeppelin. Erano decine. Alcuni uomini, i meno coraggiosi, avevano già cominciato ad arretrare seppur i loro colleghi cercassero di infondere loro coraggio dando colpetti dietro la schiena e bloccando in qualche modo la ritirata. Il cielo fu coperto dai dirigibili e il ventre di quei mostri vomitò fuori numerose sentinelle.
Giganti di metallo cominciarono la loro discesa. Il capitano era immobile al centro della piazza e gli occhi di tutti i soldati erano puntati sul suo braccio in attesa dell’ordine. Quando l’esercito di Damaskinos fu abbastanza vicino al suolo, Crimson Star alzò la spada verso il cielo.
 «Fate fuoco!» rimbombò la sua voce metallica. Ben presto fu coperta da scoppi ed esplosioni e il cielo si trasformò in una distesa interminabile di metallo, scintille e polvere.


Scosse il capo un paio di volte ma si rese conto soltanto dopo qualche istante di aver turbato Scottie. Per lui era pur sempre una sorella. «Deve esserle capitato qualche cosa, dubito sia sempre stata così» tentò di correggere il tiro.
 «Abbiamo una pentola che accusa un bollitore di essere nero, qui tra noi?» La voce di Tesla giunse dalle scale e, poco dopo, il rumore dei suoi passi ne annunciò l’arrivo dal piano di sopra.
Scendeva con cautela e dopo qualche passo incerto lungo i gradini, entrò nel laboratorio. Con la destra reggeva un vassoio con una teiera di ceramica e cinque tazzine bianche piuttosto anonime. Nell’altra mano portava una grossa scatola coperta da un telo di stoffa blu. Si muoveva come un equilibrista e tirò un sospiro di sollievo quando Nicholas gli andò incontro per aiutarlo facendosi carico del vassoio.
 «Grazie Nicholas.» Sbuffò e guardò Melinda con sguardo di rimprovero. «Sarebbe stato suo compito aiutarmi con le vivande.»
Melinda ricambiò l’occhiataccia con tutto l’astio di cui era capace, ma non raccolse la provocazione del padrone di casa concentrandosi invece su ciò che poteva essere nascosto sotto il telo blu.

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