mercoledì 18 aprile 2018

TUTTO IL BUIO DEI MIEI GIORNI di Silvia Ciompi



TITOLO: Tutto il buio dei miei giorni
AUTORE: Silvia Ciompi
AMBIENTAZIONE: Italia
GENERE: Narrativa romantica
SERIE: No

Camille ha vent'anni, ama lo stadio nelle domeniche di primavera, con le maniche corte e le bandiere mosse dal vento, e ama la sua curva, in ogni stagione. Lì salta sugli spalti, tiene il tempo con le mani: è la cosa che ama di più al mondo. È l'unico posto dove si sente davvero viva.
Ma un giorno, proprio fuori dallo stadio, la sua vita si spezza. Un'auto con a bordo un gruppo di ultras la investe.Tra di loro c'è anche lui: in curva tutti lo chiamano Teschio. Sembra il cliché del cattivo ragazzo, ricoperto di tatuaggi e risposte date solo a metà. Eppure Teschio e Camille sono come due libri uguali rilegati con copertine differenti. Due anime che non hanno fatto in tempo a parlarsi prima, a guardarsi meglio. Si sono passati accanto migliaia di volte, ma non sono mai stati davvero nello stesso posto. Lo sono ora.
Ora che il dolore si è mangiato tutto ciò che Camille era.
Teschio, però, non è disposto a lasciarla spegnere, lei che è vita, energia elettrica allo stato puro. E il tempo insieme diventa per entrambi come ossigeno dopo una lunghissima apnea. Nonostante tutto. Perché stringersi l'uno all'altra è l'unico modo che hanno per mischiarsi un po' di dolore, un po' di forza. E forse anche un po' di amore.
Quando ho chiesto di recensire Tutto il buio dei miei giorni non sapevo in che guaio mi stessi cacciando. Ho finito di leggerlo due giorni fa, ma solo ora trovo il coraggio e la forza di scriverne, perché è uno di quei libri che non lascia indifferenti. Uno di quei rari libri – forse ne esce uno ogni quindi anni - che ami e odi allo stesso tempo; che quando lo leggi non puoi fare a meno di urlare, piangere, gettarlo al muro per poi tornare a riprenderlo chiedendogli umilmente perdono per avergli fatto del male e infine amarlo, amarlo con tutte le forze.
Pensate un attimino all’impatto che ha avuto Tre metri sopra il cielo – per noi entrate negli –enta da un po’ – ma pensate anche ad un libro scritto infinitamente meglio. Pensate solo a quanto, tutte noi, abbiamo amato Babi e Step. Ora, però, dimenticatelo, perché ciò che vi consiglio di fare è comprare Tutto il buio dei miei giorni, accomodarvi sul divano, o al sole perché ormai è bel tempo un po’ dappertutto, e lasciarvi catturare da una fantastica storia d’amore.

Ecco a voi, care amiche, Camille e Teschio: due mondi differenti che entrano in collisione la domenica, allo stadio, tra i fumogeni di una curva rumorosa e il profumo dell’erba appena tagliata; tra la musica che accompagna le ore precedenti all’inizio della partita e il tizio della Coca- Cola che urla “chi vuole bere?” (allo Stadio San Paolo di Napoli – non me ne voglia la Ciompi per questa “licenza poetica” – succede proprio questo!); tra il fumo della “Maria” e i fischi all’entrata in campo della squadra ospite o dei loro tifosi.

Lei sorrideva e lui l’aveva guardata. Anche con tutta la distanza, le urla, il rumore, mentre la guardava, lui l’aveva sentita impercettibilmente, in posti che non sapeva di avere.

Ho parlato di collisione non a caso, in realtà, perché proprio fuori lo stadio che i nostri protagonisti tanto amano si compie la tragedia. E diciamocelo, il merito della Ciompi sta anche in questo: inserire il colpo di scena all’inizio, tanto che la storia si sviluppa – salvo alcune “fughe” – principalmente in ospedale e in una clinica di riabilitazione. Accade che proprio nel giorno della ripresa del campionato, dopo la pausa estiva e l’astinenza da quel mondo tanto amato, un’auto con a bordo un gruppo di Ultras investe la nostra protagonista.

Pensavo che vedendola avrei trovato qualcosa da dirle, qualcosa per migliorare la situazione, qualche specie di scusante. Ma lei è quasi morta per colpa nostra e per la prima volta me ne rendo conto per davvero

Alla guida c’è uno di quelli da cui il padre di Camille aveva intimato di stare lontana, uno di quei “drogati/alcolizzati/degenerati” da cui, però, la ragazza era sempre stata attratta, per il loro modo di vivere, i loro ideali di fratellanza e libertà.
La corsa in ospedale, i tentativi disperati di salvarle la vita, la disperazione di Teschio, che per giorni non fa che attendere notizie di quella ragazza il cui sguardo aveva incontrato tanto tempo prima e che gli era entrata dentro, in un modo che non riusciva a spiegarsi.

Proprio Teschio – vero nome Luca Canversi, ventotto anni, occhi azzurri, capelli rasati e fossetta alla guancia destra – la vede spegnersi giorno dopo giorno, su una sedia a rotelle che non vuole usare e un braccio inutile, deturpato da una lunga cicatrice.

Sollevo lo sguardo e basta quella visione fugace del suo viso che mi fissa per farmi fermare il respiro e impazzire il battito cardiaco contemporaneamente. Merda, merda, merda. Ma scherziamo? Ha il cappuccio della felpa nera tirato su, la testa rasata, gli occhi azzurro ghiaccio, la pelle bianca come un lenzuolo, il fisico asciutto e io rabbrividisco, mi blocco e il cuore accelera ancora di diversi battiti. È davvero lui?

Camille non mangia, non reagisce, ed è solo il fantasma della ragazza che vedeva urlare allo stadio, così decide che è arrivato il momento di agire, aiutarla a tornare chi era. Si fa spazio nel buio dei giorni di Camille e ridà luce, forza, coraggio.

«Vorrei che tutto questo non fosse mai successo. Che non ti fosse capitato l’incidente, che non fossimo in un ospedale, ma su una spiaggia di sera, per offrirti uno di quei cocktail con gli ombrellini e le fragole appese sul bordo, e vorrei invitarti a ballare anche se a ballare faccio schifo. O portarti dove vuoi, dove non sei mai stata, il più lontano possibile da qui.»

Camille e Teschio, in un viaggio di duecentosettanta giorni, vivono una di quelle storie cui non si crede, uno di quegli amori disperati, voluti, desiderati e poi odiati, fatto di rabbia, perdono, baci rubati e ferite, sangue, accettazione, consapevolezza, coraggio e di nuovo perdono. Un viaggio nella mente e nei giorni di entrambi. Nel dolore di un uomo di ventotto anni, ormai solo al mondo – la madre è morta di cancro e il padre è in prigione per rapina e omicidio – i cui unici affetti sono in curva. Nel dolore di una ragazza di vent’anni che avrebbe dovuto iniziare il secondo anno di Università e, invece, si ritrova a dover imparare tutto da capo.
Amiche, io non saprei cos’altro dirvi arrivata a questo punto, se non obbligarvi a leggere Tutto il buio dei miei giorni e lasciare che ognuna di voi si faccia una propria opinione, promettendovi che non ne resterete deluse.

Le parole sono un filo di vento contro le sue labbra chiuse. E stavolta non posso fare finta di non sentire quello che provo dentro. Perché l’unica cosa che vorrei adesso è baciarla e annullare la distanza, affogarci dentro di lei per non sentire più niente e ricominciare a sentire davvero tutto.
A sentirmi vivo.

Ho amato ogni pagina e ogni lacrima versata; ogni parola, ogni frase ad effetto e ogni emozione. E, credetemi, l’ho amato anche quando l’ho odiato: quando la verità è venuta a galla e ha distrutto tutto ciò che era stato costruito con tanta perizia. Preparate i fazzolettini – direi che un paio di confezioni da dodici pacchetti può bastare – perché ne avrete bisogno.
Buona lettura Cosmo!


Silvia Ciompi, classe ’93, è nata a Pisa, ma è meglio non ricordarglielo perché c’è troppa rivalità con la sua squadra del cuore, il Livorno. Vive in un paesino della provincia Toscana e sta per laurearsi in Scienze della comunicazione. Tutto il buio dei miei giorni, dopo aver raccolto tre milioni di lettori sulla piattaforma Whattpad, è uscito nelle librerie lo scorso 10 aprile, promettendo un successo senza precedenti.


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