Cécile si voltò e il ceffone le arrivò dritto sulla guancia, arrossandola di un bruciore mai sentito. Nessuno l’aveva mai picchiata prima di allora e, mentre la testa girava sul collo con un doloroso strappo dei muscoli, lei cadeva a terra, nell’erba, chiedendosi il perché di quel dolore.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, la bocca di sangue perché i denti avevano tagliato l’interno della guancia, e la testa riverberò di stilettate di sofferenza dal collo alla fronte. Vide il prete rosso di rabbia, la mano alzata per colpirla ancora, e si coprì la testa rannicchiandosi a terra.Il secondo ceffone non arrivò mai.
Un attimo prima non c’era nessuno ad aiutarla, un istante dopo il nonno era arrivato. Era come se fosse apparso dal nulla, per difenderla, come sempre.
Draco sovrastava il prete così come lui si era imposto sulla bambina.
Gli stringeva il polso.
«Non toccare mai più mia nipote o ce la vedremo tu…», gli ruotò il polso in modo che il braccio assumesse una posa dolorosa dietro la schiena e la voce potesse vibrargli contro l’orecchio, «… e io.»
Lo lasciò e il prete caracollò poco distante, massaggiandosi la spalla. «Diavoli! Siete tutti diavoli!» li accusò e, per un istante, Cécile fu attratta e spaventata dal ghigno del nonno. Era un sorriso obliquo, tagliente, carico di violenza repressa sotto la pelle; un sorriso che tratteneva a stento altre parole e azioni.
Parole pericolose.
Azioni inconsulte.
Draco si piegò a prenderla in braccio con dolcezza e la riportò a casa, per accudirla e spalmarle le sue pomate d’erbe sulla guancia illividita e sul collo dolorante.
«Non dire nulla di quello che sai a questi paesani, loro non capirebbero. Hanno paura di ciò che non conoscono e distruggono ciò di cui hanno paura.»
Cécile non lo dimenticò mai più.
Da dietro il parabrezza opacizzato da anni di Camel, da
sotto quella matassa di capelli sale e pepe che non aveva mai voluto saperne di
essere addomesticata, Aldo guardava la strada di campagna svelarsi curva dopo
curva, buca dopo buca davanti al muso accidentato di quell’animale da
trasporto. E gli parve strano sentire le sospensioni gracidare, perché mancava
la musica. Se solo avesse avuto ancora l’antenna avrebbe potuto sintonizzare la
radio su una frequenza FM, una qualsiasi, ascoltare lo speaker di turno
sprizzare la sua falsa allegria, augurando il buongiorno a umani, cani e porci
di tutta la regione o dell’Italia intera. Soprattutto, avrebbe potuto distogliere
i pensieri da...
Guardami un attimo, da bravo...
Ma se l’era fatta rubare chissà quando e chissà dove.
Forse era successo fuori dall’Harem Night
Club quella volta che si era scolato non ricordava quanti bicchieri di non
ricordava cosa, prima di fare cilecca con i pantaloni abbassati, un
preservativo alla fragola per metà penzoloni e il portafogli svuotato dalla
bionda di turno. Così aveva confessato a Gigi tempo addietro, non senza uno
stiletto di rabbia e vergogna conficcato nella voce, durante il turno di notte
in fabbrica, tra pistoni che pompavano come non era riuscito a fare lui in
quell’occasione.
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