Capitolo n. 11 - Tom
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Tom si era chiuso in camera per
infilarsi un paio di pantaloni della tuta ed una maglietta asciutta. Grazie
alla cerata non si era particolarmente bagnato, ma dalle ginocchia in giù era
da strizzare. Sperava solo di potersi sedere con Rhys e parlare di quello che
era successo per cercare di aiutarlo come poteva, ma quando l’aveva visto
premersi la mano sulla coscia sporca di sangue era schizzato. Non si beveva
affatto la storia del voler fermare l’emorragia, ma chi era lui per giudicare?
Quante botte si era preso pensando di meritarsele? Forse il modus operandi era
differente ed anche le ragioni dietro a quei gesti, ma chi poteva biasimarlo?
Recuperò il cellulare dalla tasca
della giacca e scrisse a Steve per rassicurarlo ed informarlo che Rhys era in
città, sano e salvo. Ok, non era la verità, ma non voleva che si sapesse che
lui e Rhys erano soli nel suo capanno. Se non avesse avuto nulla da nascondere
forse sarebbe stato sincero, ma così come stavano le cose non voleva che si
facessero supposizioni. Sospirando rassegnato, Tom prese qualche vestito
asciutto anche per Rhys e lo raggiunse nell’altra stanza. Era ancora
raggomitolato nella coperta, seduto sul vecchio divano in cuoio ad osservare
con occhi vacui il camino spento.
“Tieni, ti saranno grandi, ma
sempre meglio di quella coperta ruvida” disse Tom porgendo all’altro i vestiti
che gli aveva portato “Puoi andare in camera oppure in bagno a cambiarti, come
preferisci” aggiunse con meno freddezza, visto che Rhys lo guardava con gli
occhi pieni di timore come se si stesse aspettando di venire colpito.
Quando Rhys si diresse in bagno,
Tom si chinò verso il camino e prese i fiammiferi e qualche foglio di giornale
per accendere il fuoco, poiché nella stanza si gelava e la casa non aveva altro
riscaldamento se non quello, quindi si impegnò per creare una bella fiamma.
“Mi dispiace” la voce di Rhys lo
fece sobbalzare, non credeva si sarebbe deciso a dir qualcosa, non era mai
stato di molte parole e in quella situazione immaginava sarebbe stato ancora
più restio ad iniziare una conversazione.
Tom gli si avvicinò e, dopo che
furono entrambi seduti sul divano, si decise a parlare con tono stanco.
“Non devi chiedere scusa, non a
me per lo meno” sospirò “Hai fatto preoccupare i ragazzi con la tua fuga
improvvisa e hai rischiato la vita correndo in quel modo con Reese” ed ecco la
paternale con cui Tom era così bravo. Non ne poteva più di essere quello
responsabile, una volta tanto avrebbe voluto fare anche lui quello che gli
saltava per la testa senza pensarci due volte. Tipo stringere Rhys tra le
braccia e togliergli quell’aria triste affondando la lingua nella sua bocca.
“Hai ragione” mormorò Rhys,
sembrava di nuovo prossimo alle lacrime e Tom si sentì intenerire da quello
sguardo smarrito. Accidenti, si
disse, Rhys non era un maledetto ragazzino bisognoso di cure, aveva trent’anni
per Dio, ma il cuore tenero di Tom non ne voleva sapere di ragionare.
“Senti Rhys, non sei obbligato a
parlarmi di quello che ti fa stare male” Tom non voleva dirgli che tra la
canzone che aveva sentito ed il resto aveva più o meno già capito il quadro
della situazione, voleva lasciarlo libero di sfogarsi oppure di tenersi tutto
dentro se preferiva “Io voglio solo aiutarti, non ti giudico. Ok, penso non sia
sano farsi del male di proposito, ma ti capisco, davvero”
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