«Alessandro guarda là» urlai strattonandolo per un braccio. «I cigni! Ci sono i cigni!» e mi precipitai correndo verso un punto del porticciolo dove almeno una dozzina di esemplari stava mangiando. Di cigni, dal vivo, non ne avevo mai visti.
Mia mamma passava il fine settimana a lamentarsi delle pulizie di casa e mio padre davanti alla tv a seguire il campionato di calcio, così da bambina non mi restava altro che perdermi tra le pagine di un libro o davanti ai documentari. Vedere un cigno imperiale da così vicino era davvero una grande emozione.
«I cigni di questa specie hanno un’apertura alare che nei maschi arriva a quasi tre metri» ci spiegò Giacomo, «e sono molto suscettibili. Sta’ attenta Marghe, rimani a distanza.»
Io però mi ero già avvicinata troppo a uno degli esemplari più belli, un maschio dal piumaggio bianco intento a beccare resti di cibo. L’animale si alzò sulle zampe nere e aprì le ali, mostrandomi tutta la sua maestosità e cominciò a soffiare correndo nella mia direzione.
«Oh. Mio. Dio» urlai, sgranando gli occhi, nel momento in cui capii le vere intenzioni del pennuto. Mi guardai intorno e iniziai a correre verso Alessandro e Giacomo, col cigno che mi seguiva battendo le ali ed emettendo dei suoni incomprensibili. A un certo punto, però, vidi dritti davanti a me Ale e Giacomo, a terra, contorcersi dalle risate, mentre si davano grandi pacche sulle braccia e le spalle, l’uno con l’altro. Un grosso cigno voleva mangiarmi e loro se la ridevano? Mi girai, ancora correndo, e mi resi conto che il cigno che mi aveva attaccato era già tornato al suo pasto, in mezzo agli altri.
Sollevata, rallentai la mia corsa poco alla volta e mi buttai a terra accanto ad Ale, ancora con il cuore a mille.
«Cos’è tutto questo baccano? Si sentono le vostre urla per tutta la baia.»
Alzai la testa verso la ragazza bionda che ci stava rimproverando e a quel punto non riuscii far a meno di scoppiare anche io a ridere, sempre più forte, fino alle lacrime. «Un grosso cigno ha provato a mangiarmi» risposi a Susanna.
Anche lei sbottò a ridere. «I famosi ‘cigni assassini di Galway’, certo!»
Davanti a noi c’era il Mare del Nord, dalle cui acque gelide si ergeva quella piccola isola, mentre il cielo, straordinariamente sereno, rivelava ai nostri occhi milioni di stelle. Margherita continuò a fissarle, non sapevo se perché affascinata da esse o solo per non dover guardare me.
«Non ho mai visto così tante stelle e ne sono quasi ipnotizzata, mi credi? Ti prego dimmi che conosci le costellazioni.»
A quanto pare è davvero interessata al cielo, invece. Risi tra me e me.
«Come no! Quella è l’Orsa Minore… la stella polare» indicai la stella più luminosa vicino al Piccolo Carro, «e quella…»
«Guarda che ti sbagli» mi interruppe. «La costellazione vicino alla Stella Polare è quella dell’Orsa Maggiore. Almeno quelle dovresti conoscerle, le sanno distinguere anche i bambini.»
«Okay, okay, mi hai scoperto» le dissi alzando la mano libera in segno di resa. «Non capisco proprio nulla di stelle, ma volevo fare colpo su di te.»
Margherita scoppiò a ridere. Illuminata solo dalla fioca luce che arrivava dal cielo, era ancora più bella. Inchiodai il mio sguardo al suo, stringendole un po’ di più la mano.
Il suo respiro si era fatto più veloce, anche se in modo quasi impercettibile, e potevo sentire, sfiorandole il polso, come il battito del suo cuore fosse accelerato. Ero certo che se l’avessi baciata, in quel momento, avrei mandato all’aria tutto quello che avevamo condiviso fino ad allora, eppure la tentazione di allungare l’altra mano e spostarle i capelli che le erano ricaduti sulla guancia, per poi posare le mie labbra sulle sue, si fece sempre più forte.
«Ho voglia di baciarti» le dissi, come se non ci fosse nulla di assurdo in quell’affermazione. Mi maledissi subito, però, quando la vidi irrigidirsi all’istante.
La stavo mettendo in difficoltà, ne ero consapevole, eppure mi sentii anche incoraggiato quando notai che non si era spostata di un millimetro dal suo posto, né aveva sottratto la mano alla mia.
L’aria intorno a noi si fece elettrica, mi avvicinai lento al suo volto, per darle il tempo di decidere se volesse o meno quel bacio e fu allora che accadde […]
Jericho Marmaduke Shelmardine spiccava come un virgulto verde e rigoglioso in mezzo a un’aiuola di fiori avvizziti. Un virgulto carnivoro, certo, e velenoso, e proprio per questo gradevole allo sguardo, irresistibile. Intorno a lui, capelli radi e canuti raccolti in acconciature pretenziose, carni vizze strizzate in corsetti che non avevano più nulla da contenere, pelli opache rivitalizzate inefficacemente da cipria color pesca.
«Signor Shelmardine, quando volete...» gorgogliò Lady Hatterton, gratificandolo di un’occhiata civettuola, che enfatizzò la ragnatela di rughe intorno agli scialbi occhi azzurri.
Jericho sorrise, accarezzando con lo sguardo una a una lo stuolo delle sue ammiratrici. Ciascuna di loro avrebbe potuto essere sua madre, e chissà che una non la fosse davvero; ma erano domande oziose che lui aveva cessato di porsi da tempo. Un’unica cosa gli importava di quel nugolo di attempate colombe: erano ricche, dannatamente ricche, e ben disposte a lasciarsi condurre con docile aspettativa nel mondo di arcane suggestioni che di lì a poco avrebbe creato.
Posò un bacio sulla mano sfiorita di Lady Hornfield, che beneficiava di speciali attenzioni per averlo ospitato in casa propria, nonché per essere stata la sua ultima amante accreditata. Ma questo accadeva mesi prima. In un’altra vita.
Avanzò attraverso la stanza con la sua andatura vagamente oscillante, che faceva pensare a un serpente che camminasse in equilibrio su un filo. Le gentildonne gli si accodarono come una scia di crepitante taffetà, per poi disperdersi tra i divanetti. Solo la padrona di casa e le fortunate prescelte che avrebbero preso parte alla seduta lo seguirono fino al tavolo, dove tutto era stato predisposto. Il pubblico prese posto in silenzio, mentre solerti servitori abbassavano le luci per creare l’atmosfera adeguata.
Alla fine solo l’uomo coi capelli rossi rimase in piedi, una sentinella immobile appoggiata allo stipite della porta, le braccia conserte sulla redingote un po’ lisa. Una ruga gli tagliava la fronte, conferendo al suo volto un’espressione acuta e vagamente irritata. Quando Jericho posò le mani sul tavolo e invitò gli altri partecipanti alla seduta a fare altrettanto, quell’espressione si sciolse in una smorfia infastidita e uno sbuffo di frustrazione minacciò di sfuggire dalle labbra sottili. Solo il medium parve udirlo, perché alzò lo sguardo dalla catena di mani che si andava allargando sulla tovaglia di damasco ricamata con simboli esoterici e lo fissò su di lui, solo per un istante. Fu sufficiente.
Jonas Marlowe inghiottì il sospiro, richiamato all’ordine da quegli occhi che, alla luce fioca che pervadeva la sala come oro liquido, apparivano incolori. Strinse le labbra e si rizzò in tutta la sua allampanata persona, assumendo un atteggiamento quasi marziale.
«Lui lo sa, vero?» Scandì le parole, la voce appena udibile, trattenuta in gola come un ringhio.
«Che ti prende, adesso?» Era una domanda, ma era anche un avvertimento.
Attenta a quello che fai, donna.
Sapeva che Deirdre Collins era pazza e pericolosa, ma questo non aveva impedito loro di lavorare insieme in quegli anni. Del resto, erano le stesse cose che dicevano di lui.
Di lei sapeva ciò che tutti sapevano, anche se non aveva idea di dove finisse la verità e iniziassero le leggende. Che suo padre ubriaco l'aveva data in pasto ancora bambina ai maiali. Che lei, contro ogni prospettiva, era sopravvissuta, il volto e il corpo devastati dai morsi.
Poi c’era stato il barbiere di Canary Wharf, a cui suo padre l’aveva venduta, perché non sopportava più di vedersela davanti. Il barbiere che l’aveva sposata e poi era morto, la gola squarciata dai suoi stessi rasoi.
Da quel momento in poi la vicenda si confondeva in innumerevoli varianti, nessuna delle quali confortante. Deirdre Collins era stata arrestata ed era finita a Holloway, da cui era fuggita con una rocambolesca evasione. Secondo altri era stata rinchiusa a Bedlam, perché dovevi essere una pazza fottuta per fare quello che lei aveva fatto al marito. E se non era pazza quando era arrivata a Bedlam, sicuro come l’oro che lo era quando ne era uscita. Altre versioni più fantasiose la vedevano in fuga nel Nuovo Mondo, puttana in un bordello itinerante specializzato in deformità, amputazioni e altre piacevolezze. Tutti i rigagnoli si riunivano in un unico, torbido canale di scolo, e confluivano a Londra, al signor Lovelace. E ovviamente a Victor Miranda.
«Certo che lo sa» grugnì Dalton, guardando la mano della donna aggrappata alla sua manica.
Lo sa che moriresti per lui, e resusciteresti come Cristo se te lo ordinasse, che probabilmente muori un po’ ogni giorno e ogni giorno ti costringi a tirarti su, solo perché lui potrebbe chiamarti, potrebbe avere bisogno di te.
C’erano cani che non sceglievano il proprio padrone, e ciononostante non potevano fare a meno di appartenergli.
Nessun commento:
Posta un commento