mercoledì 27 maggio 2020

Blog Tour Dark Zone: Rob Himmel - Filippo Mammoli



«Oh… ti prego… Basta, basta!» singhiozzò Lenara, agitandosi nel letto e ridendo a causa del solletico. Quando il momento di ilarità terminò, si fece seria e guardò in direzione della finestra sbarrata. «Quanto pensi che durerà… tutto questo? La notte non potrà nasconderci per sempre.»
Lui si stese sul fianco, puntellando il gomito e poggiando la testa sul palmo. La guardò dritta negli occhi. «Perché adesso? Sarebbe meglio lasciare simili pensieri a momenti meno belli… questi dovremmo dedicarli soltanto a noi due.»
Lenara sospirò. «Hai ragione, ma ogni volta che lascio il castello di nascosto rischio di essere scoperta da Varo. Se dovesse accadere prima delle nozze…»
«Non accadrà. Sei troppo astuta per lui, inoltre sei un’esperta di magia illusoria. Non capirà mai quello che stai facendo, e comunque mancano pochi giorni alle nozze, poi attueremo il nostro piano.»
«E dopo, cosa faremo? Una volta restituito il regno nelle mani di Lorigan, che ne sarà di noi due?»
Lui le accarezzò il viso, le baciò la spalla con delicatezza e infine rispose: «Andremo via, lontano da tutti. Costruiremo il nostro futuro secondo ciò che desideriamo. Io e te».
«Sarebbe bello…»
«Ma…?»


Nulla avrebbe potuto scuotergli il sonno nel gelido lago che accoglieva il suo corpo come una tana confortante, mentre la spessa lastra di ghiaccio sopra di sé lo teneva celato ai pochi abitanti delle lande ghiacciate di Ghiarkur.
Nulla avrebbe mai potuto turbare i suoi pensieri, ottenebrati da un sortilegio che serviva ad anestetizzare i suoi sensi di colpa, permettendogli di non rimuginare sui gravi errori commessi un secolo prima.
Nulla avrebbe mai potuto intaccare il desiderio di restare fuori da qualunque evento stesse accadendo nel continente, evitando di immischiarsi nelle faccende dei mortali per l’ennesima volta.
Nulla avrebbe mai potuto, fatta eccezione per una cosa: Jandar. Nel momento stesso in cui lo zaffiro che gli aveva affidato era andato in frantumi, lui lo aveva percepito come una lama penetrata nel cervello. Era stato simile al suono di una campana che continuava a echeggiare nella sua testa, insistente e irritante.



La perfezione di una bellezza eterea non lasciava spazio ai più bassi impulsi della carne. Con la mano destra si accarezzò il fianco, scendendo dal torace fino al rialzo appuntito dell’anca. Continuò ad abbassare la mano scivolando verso l’interno, per apprezzare l’enormità dell’incavo tra le cosce. 
Un corpo perfetto è quello in cui non c’è più nulla da togliere, perché il superfluo è già stato eliminato, pensò con soddisfazione puntando gli occhi in quelli della sua figura esile riflessa dallo specchio. Stava accadendo tutto in modo molto naturale, più di quanto si fosse aspettata. 
Mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé, portò le mani sulla schiena, dove il leggero dolore stava aumentando di intensità. Si erano formati due rigonfiamenti allungati, ma non se ne meravigliò. Vi passò sopra i polpastrelli, sentendo quelle escrescenze gonfiarsi fino a scoppiare. 


Si accorse che doveva muoversi. Fece una doccia di cinque minuti, poi prese un caffè in piedi, si infilò pantaloni, giacca e cravatta e si catapultò in macchina. Alle otto aveva la riunione con i rappresentanti del sindacato a cui avrebbe dovuto comunicare i nomi dei venti operai da licenziare. Come sempre in queste occasioni, si era preparato un bel discorsetto. Analisi di mercato, crisi congiunturale, spending review, delocalizzazione, competitività… Le solite favole a cui nessuno credeva più, ma che funzionavano sempre. 
Continuavano a chiamarlo per questo, in quella come in tante altre aziende. Il primo nome che avrebbe fatto sarebbe stato senz’altro quello di Rapezzi, il più giovane ma più politicizzato di tutti. Non conosceva nessuno dei dipendenti dell’azienda, non li aveva mai incontrati. Non doveva. Il rischio di associare alla faccia una storia e una rete di relazioni che lui avrebbe incrinato era un lusso che non poteva permettersi. Sarebbe stato un errore imperdonabile. Per lui, il tagliatore di teste, dovevano essere solo nomi e numeri, pedine da sacrificare sull’altare del profitto e delle leggi del bilancio. 

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