venerdì 17 giugno 2016

Giornata d'autore : CLARA CERRI


Isabella è tornata a casa dal collegio e cerca di ritrovare la normalità con suo padre, la scuola, la sua passione per il teatro. Conoscere gli amici di sua madre, morta quando aveva pochi mesi, risveglia la sua curiosità verso di lei. Con fatica ricostruisce il suo vero volto dai loro racconti, dalle lettere di un'amica lontana, dallo stesso bisogno di amore e di bellezza che sente crescere dentro di sé. Ma dovrà farsi strada tra i rimorsi e i silenzi di suo padre e di tutti quelli che la circondano, attraverso momenti di rabbia e di sconforto, per trovare la sua verità su sua madre e sulla storia d'amore che ne ha segnato la vita, una storia iniziata nel 1990 con l'occupazione dell'università e col tentativo di suicidio di un amico pieno di talento ma fragile, che rimarrà ossessionato da lei e le starà accanto quando sarà lei a vedersi cadere il mondo addosso.






«Che meraviglia, hai le calze vere col reggicalze...» la sua voce era diventata un sussurro tagliente. «Per chi ti sei vestita così, di' la verità... E queste mutandine sottili, si sente tutto attraverso, non è vero? Come scotti...» 
«No! Ti prego, non resisto...» 
«Non devi resistere, è quasi mezzanotte, qui non ci vede e non ci sente nessuno». Ilaria sentì le sue dita sulla carne scoperta e non riuscì a trattenere un gemito. «Ecco, così, brava, lo so che sei tutta un fuoco... Non cadere, aggrappati a me». 
Il cuore le batteva come dovesse strapparsi dal petto, sentiva il sesso come una rosa scompigliata da cui saliva calore e colava sangue, non poteva più aprire gli occhi, non poteva più parlare, parlava solo lui e guidava la sua mano intimorita, «Toccami anche tu, immagina di sentirmi dentro...»

«Fammi vedere se sei veramente bello come vuoi far credere. Spogliati».
Antonio sembrò colto di sorpresa, poi fu come se ritrovasse le coordinate di un comando noto, si alzò e si denudò con calma, serio, con il gesto umile di chi mostra il proprio corpo come uno strumento del mestiere, e rimase immobile in piedi, con gli occhi bassi, le mani appoggiate alle cosce per nascondere l'interno sfigurato dei polsi. Era bello davvero, talmente ben proporzionato da far pensare che Dio avesse creato Adamo proprio così, e i discendenti fossero cresciuti a loro discapito.


«Ho amato questa creatura abbastanza da lasciarle la possibilità di vivere quando questo dipendeva da me, ma l'amore che le era stato indispensabile per vivere, come dicevi tu, quello l'ho abortito. Era lì assieme a lei, come un gemello invisibile, ed è come se avessi infilato un ferro da calza dentro il mio utero e avessi frugato fino a trovarlo, e ucciderlo. Non l'ho visto, ma posso immaginare com'era, e lo rimpiango. Era fatto di dolcezza e di luce, della sostanza felice di Dio, era nato tra due corpi umani ma era divino, ed era destinato a essere il sostegno della sua vita, la gioia dalla gioia. Non c'era giudizio e non c'era errore che potesse giustificare la sua uccisione».



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