Milano, dicembre 1999. L’ispettore di polizia Mario Koch si aggira per la metropoli come un predatore di nuova generazione, alla ricerca del piacere, dedicandosi alle droghe e alla perversione, servendosi del suo potere come strumento di coercizione.
Lo schivo e timido Aldo Cocini, dipendente del Museo di Storia Naturale, deve invece fare i conti con gli spettri della sua mente e con sinistre presenze che gli intralciano il cammino.
Koch viene così attirato tra le mura conturbanti di Villa Fossati, la “Villa Triste” che cinquant’anni prima fu teatro di tragici omicidi e crudeli torture perpetrate da un feroce reparto speciale repubblichino nei confronti dei partigiani; l’ispettore si ritrova ben presto coinvolto in una spirale di violenza e misticismo, cerimonie e rituali, che attingono a oscure mitologie precristiane il cui fine è la trasmutazione del male in bene, il cui obiettivo è lo stravolgimento dell’animo umano.
Il filo spinato crea un’aureola di terrore e angoscia. Quella corona di ferro è un presagio di detenzione cruenta e di supplizio.
Appena si entra nel salone al pian terreno della villa si ode il nervoso ticchettare della macchina da scrivere : è il ritmo cadenzato di una tortura progettata, legittimata, quasi burocratica nella sua fredda e calma attuazione. Sembra che nulla sia dato al caso.
La mobilia ha un che di sofisticato e insieme spartano, come se le ricche vestigia di un impero abbiano lasciato lo spazio alla chirurgica messa in atto di una crudeltà calcolata in uno spazio in decomposizione. Il pavimento è sporco delle impronte di terra degli stivali.
Un lampadario di noce in stile Novecento pende come una reliquia dal soffitto dall’ intonaco giallo.
Di fronte all’entrata la scrivania del Comandante del Reparto.
Dottore, lo chiamano. I baffi neri sotto il naso sono curati, la carnagione è chiarissima, lattescente. Seduto dietro la sua scrivania, si liscia con un palmo la manica della camicia bianca, poi sposta lo sguardo alla segretaria.
«Dar loro la caccia è diventato un vero piacere, una specie di sport. Perché questi cercano in tutti i modi di resistere.»
Sorride, il dottore. Poi per un momento il suo volto si incupisce perché sente il trambusto al piano di sotto. Fa un cenno a un soldato, in piedi di fianco alle poltrone di velluto giallo e verde.
Questi è equipaggiato con un Moschetto Beretta, che tiene a tracolla, il fez inclinato, la camicia nerissima. Ha un’espressione risoluta, sembra muto e cieco, la pelle del viso unta.
Il Comandante gli dice due parole. Il soldato esce dal salone, si sentono i suoi passi in lontananza che scendono delle scale.
Pochi minuti e compare l’avvocato. Il suo volto grasso e rubizzo e accalorato, le vene pulsano visibilmente sulla fronte, i capelli scuri sono scarmigliati e una patina di gel e sudore gli macchiano la fronte, che ora è oleosa. Ha la camicia sbottonata, i peli del petto fanno capolino come vermi del fango. Il grosso stomaco si dilata e si restringe, ha il fiatone.
In mano il nervo di bue è rigido come una bacchetta oscena di carne umana. Il dottore vede il sangue che lo inumidisce.
«Avvocato Trinca, come procede ? » La voce del Comandante è sottile, c’ è insinuato qualcosa nelle sue parole che solo l’avvocato può capire, come un linguaggio in codice.
«Come sempre» risponde l’avvocato, la voce che trema con smania contenuta. Tira su col naso. Nei suoi occhi porcini le pupille sono dilatate.
«Vi raggiungo fra poco» dice il Comandante, e intanto rivolge lo sguardo alla segretaria, che è ferma sulla macchina da scrivere, le mani sospese.
Tra di loro scorre uno sguardo di intesa. I denti fulgidi della donna fanno capolino tra le labbra secche. Il viso del dottore sembra sbiadire ancora di più, come se la pelle si stesse ritirando sul teschio, come se la sua faccia, ora, fosse solo un cranio foderato dal ghigno beffardo, gli occhi neri solo delle cavità atroci, senza vita.
L’ultimo arrivato è stato buttato in una delle celle al piano di sotto.
Prima lo hanno bastonato, dopo lo hanno preso a calci e pugni.
Gli hanno ficcato in bocca un lembo di stoffa. L’uomo cercava di divincolarsi dalla presa dei militari che però lo stringevano forte. Uno dei soldati aveva il labbro inferiore che gli scivolava mollemente sul mento, quasi che la pelle si volesse staccare da quel muso traccagnotto. Il ghigno era osceno, della bava gli colava sul collo, copiosa, come schiuma bianchiccia. Il volto era paonazzo e fremeva, tremolante per la foga perversa.
Diceva solo una frase, di continuo, e strizzava la mandibola: «Fermo, pezzo di merda.
Fermo, pezzo di merda. Fermo, pezzo di merda».
Gli hanno immerso la testa in un secchio di acqua gelata, le bolle affioravano in superficie come segnali di un codice di morte.
Ildefonso, padre benedettino vallombrosano, è nell’altra sala, confinante alle celle, seduto sulla panca di legno.
Le sue mani sottili scorrono sui tasti del piano, veloci ed eleganti. Sta suonando il Nocturne di Chopin. Il trambusto nella cella gli fa aggrottare le sopracciglia spesse, ma lui alza lo sguardo, forse pensa a Dio, magari prega. Le note lo commuovono. Estasiato pigia sui tasti con più forza. Gli occhiali brillano sotto la luce del lampadario di noce.
La vittima viene lasciata nella cella. La lampadina ad alto voltaggio fa brillare in modo così feroce lo smalto bianchissimo delle piastrelle delle pareti, che il prigioniero deve accucciarsi con le mani sopra la testa a coprirsi gli occhi, la nuca che perde sangue incastrata tra il pagliericcio lercio.
Anche il sangue, in quella luminosità ipnotica dolorosa, assume il barbaglio di un liquido fluorescente, di cui la stanza è contaminata. Rimasugli organici che sfavillano di vita propria nell’argentata e funesta luce.
Alessandro Pedretta, classe 1975, autore apocalittico.
Tra le sue ultime pubblicazioni: la silloge poetica Dio del cemento (Edizioni Leucotea, 2016), il romanzo illustrato È solo controllo (Augh! Edizioni, 2017), il romanzo fantascientifico Lo sfasciacarrozze (Kipple Officina Libraria, 2019), Golgota souvenir (la nuova carne Edizioni, 2019), l’antologia di racconti Weirdlands e la graphic novel Gli dèi lumaca (Weird Book, 2020/2021) il romanzo weird-horror Livello 49 (Independent Legions, 2021).
È l’ideatore e tra i fondatori della casa editrice la nuova carne.
Stefano Spataro, classe 1985, è dottore in storia della scienza, ricercatore e musicista.
Ha pubblicato racconti su antologie, come Novocarnomicon, Tenebre Future (la nuova carne Edizioni, 2021/2022) e riviste online, tra le quali Crapula Club e la nuova carne.
Ha pubblicato due romanzi: una space opera, Attis, Sogni dal terzo pianeta (Prospero, 2019) e un weird-fantasy, Alqarf della Valle Nera (Delos Digital, 2021).
Nel 2021 fonda la fanzine digitale di fantascienza Silicio. Nel 2022 vince il Premio Short Kipple con il racconto Progetto per una sostituzione completa della arcate dentarie.
È tra i fondatori della rivista web la nuova carne, ora anche casa editrice.
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