mercoledì 28 ottobre 2020

Blog Tour Dark Zone: Antonella Malvezzo - Fabrizio Fortino



Si avvicinò e le sussurrò all'orecchio: «Posso accompagnarti a casa stasera o devo mettermi in coda dopo tutti gli altri?»
Lei rimase imbambolata e annuì, seguendolo mentre si sgranchiva le gambe avanzando verso il suo scooter. La scocca nera, lucida come i suoi capelli, sembrava un minerale prezioso.
Appoggiò la testa alla sua schiena e si sentì protetta, a casa. Avrebbe voluto che quel viaggio non finisse mai. Il rumore del motorino arrestò qualsiasi emozione, problema, insicurezza e le sembrava che nella notte, a quella velocità, avrebbero raggiunto le stelle sopra alle loro teste. Il vento freddo tra i capelli, il suo profumo, il cuore che batteva forte e che veniva assordato dal motore, le fecero dimenticare tutto ciò che non aveva mai avuto.



«Che stronzetta che sei, ci vendi in cambio di qualche bel voto?» rise.  «Hai fatto bene, io ci sto. Però non permetterò che quella mi si appiccichi come una zecca. Quelle con l’aria da frigide sono le peggiori. Anche tu ne sei un esempio lampante.» 
«Sei uno stronzo assoluto e non so nemmeno perché te l’abbia detto in effetti. Con te è meglio litigare che confidarsi. Inoltre, è molto probabile che voglia saltarti addosso, ti ha mangiato con gli occhi un attimo fa e se non avesse un buon motivo non mi avrebbe passato la versione. È una vera arpia che ci gode a vedere che prendo insufficienze come se piovessero. È tutto l’anno che mi tratta da snob perché vengo dal Cep e adesso mi chiede di portare alla sua festa gli esemplari peggiori del quartiere.» 
«Noi siamo gli esemplari migliori in realtà, e la snob lo ha capito. Hai quell’aria timida, ma sei proprio tremenda, lo sai?» scoppiò a ridere. «Fammi capire, ti tratta da snob perché vieni dal Cep?» indagò analizzando il suo sguardo cupo dallo specchietto. 
«Quando esci dal quartiere non è facile difenderti, soprattutto con chi pensa di essere migliore di te ancora prima di conoscerti. In effetti, hanno più possibilità di me di non fallire al liceo, hanno una famiglia che li aiuta alle spalle.» Ambra si sorprese per quella rivelazione, avvertì una strana e pericolosa affinità in quel momento. 
«Non sono affatto migliori di te. Tu giochi solo con le tue forze perciò vali di più di quegli stronzetti che hanno la strada spianata... Mi è venuta una voglia improvvisa di venire a quella festa.





Kurtz si assicurò che la platea fosse ben attenta alle sue parole e continuò. Solo il Vecchio sembrava perso nei suoi pensieri. Aveva le mani infilate nelle tasche della giacca e apriva e chiudeva la bocca come a voler parlare, ma senza suoni. 
«Andammo in cerca dei velivoli abbattuti, seguendo i pennacchi di fumo, addentrandoci con i carri nel fitto del bosco che costeggiava la strada. Quello che trovammo fu uno spettacolo degno del tavolo di un macellaio. I due piloti erano ancora legati con le cinture di sicurezza ai loro seggiolini, il sangue era dappertutto e ricopriva quel poco vetro rimasto intatto. Il pilota, o quello che ne rimaneva, aveva la testa staccata di netto. Parti del suo cervello si erano fuse insieme con il metallo slabbrato dell’abitacolo. Lo stomaco era una caverna aperta, priva del suo contenuto. Doveva averlo perso nella picchiata, magari volato via da qualche buco nella fusoliera. 
Il mitragliere non era messo meglio. Le mani erano ancora attaccate alla mitragliatrice, solo che le braccia non erano più attaccate al busto. Pendevano inerti sulle ginocchia di quel povero diavolo. La cassa toracica era aperta e le costole fuoriuscivano come una tagliola bianca e lucida di sangue. Probabilmente era stato lo stesso proiettile che aveva scavato lo stomaco del pilota ed era uscito, in una linea ascendente, dal petto del suo compagno. Incredibile a dirsi, la testa era al suo posto. L’espressione era beata e in perfetto contrasto con la scena di morte che ci si parava davanti.» 



Tre esplosioni, talmente rapide da sembrare un’unica gigantesca mazzata, scossero il metallo in maniera tanto violenta che le luci si spensero di botto. Qualche lampadina esplose, le altre, semplicemente, smisero di funzionare tutte insieme. Il buio contribuì a togliere quel barlume di speranza che Eno ancora nutriva. Un piccolo scintillio sopra la sua testa e la luce si riaccese come per miracolo. 
Eno si guardò intorno alla ricerca di spiegazioni, anche solo un cenno scambiato tra i marinai, qualcosa a cui potesse aggrapparsi per sperare. 
«Mantenete la calma» disse il Vecchio placido. «Questo è solo il preludio. Ora arriva la sinfonia. Timone a dritta, tutto, vai per centocinquanta, scendiamo a centotrenta metri.» 
«Timone a prora dieci in alto» ordinò il direttore al caporale Tewes. 
Subito i comandi elettrici dei timoni di profondità azionarono il meccanismo e il sommergibile si appruò leggermente. 
Le esplosioni si susseguirono una dopo l’altra. Questa volta lo spostamento dell’acqua fu più violento e rumori di cose che s’infrangevano giunsero da ogni angolo del battello. 
La testa iniziò a dolergli, quasi avesse ricevuto troppi pugni da un pugile professionista. Il rumore assordante delle esplosioni, unito alla pressione esercitata sullo scafo, stavano per fargli scoppiare il cervello nella scatola cranica. Aprire la bocca, per evitare che la pressione incidesse sui timpani, non servì a molto. Il dolore alla testa non si attenuò. 


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