THOMAS
Università della California, Berkeley
Luglio 2010
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on il viso affondato nel cuscino, sento che appoggi la fronte tra le mie scapole mentre ti riappropri di un corpo che alla luce del sole fingi di non volere. Un soffio caldo mi sfiora la schiena, la tua mano si dischiude sul mio ventre, e mi stringi a te.
Gesti che mi illudono su ciò che stiamo facendo. Che mi spingono a credere che sia vero, che sia giusto.
Che sia amore.
Dalle tue labbra sfugge un lamento roco. Mi riverbera nel petto, nei fianchi, lungo l’uccello teso.
Hai sempre un tono straziato quando godi ed è la mia armonia preferita fra tutte: la resa di un uomo che continua a mentire a parole e a dire la verità con il corpo.
Non un pensiero gentile, però, mentre spingi ferocemente. Perché fottermi senza alcuna barriera è l’unica cosa che ti interessa. Perché con me ti piace così: scopare coniugato al presente, sempre.
So che non dovrei arrendermi in questo modo, che non lo meriti, ma quando ti avvicini per reclamarmi, nulla ha più importanza, nemmeno la mia dignità.
E mentre cerco di non pensare a quanto male starò quando tornerai a guardarmi con occhi distanti, una stoccata violenta mi schianta contro la testiera del letto.
Emetto un gemito acuto di piacere misto a dolore e tu di colpo ti fermi.
«Non urlare, porca puttana! Sei impazzito?», ansimi, nervoso, arrogante. Poi con una mano provvedi a tapparmi la bocca, preoccupato del fatto che la donna che ci aspetta al piano di sotto possa sentirci.
«Devi stare zitto», ripeti tra i denti serrati.
In un gesto di inutile ribellione la mordo, tu la allontani e io torno a respirare. Ma il sollievo che provo è di breve durata. Con quella stessa mano mi afferri per i capelli e mi tiri su, inarcando la mia schiena con prepotenza.
«Volevi farmi male, Tommy? Tu a me? Dio, fai proprio tenerezza», sibili, mentre ti pianti secco tra le mie natiche. Una, due, tre volte.
Il piacere si dissemina in ogni cellula del mio corpo. Mi dilania la carne. Il cuore.
E io ti amo, cazzo.
Poi vieni in un grugnito lungo e rauco, riempiendomi di te.
Il secondo dopo sei sdraiato al mio fianco, con il petto che si solleva e ridiscende per l’orgasmo.
«Mi hai lasciato un segno», ti osservi la mano, rigirandola davanti agli occhi.
«Mi stavi soffocando», mormoro, con la faccia ancora immersa nel cuscino e i muscoli dolenti.
«Hai urlato troppo forte. Sai che quando c’è lei dobbiamo fare attenzione».
«Allora, quando c’è lei, dovresti evitare di scoparmi».
«Mi hai provocato».
«Stavo soltanto facendo una doccia».
«Appunto», sorridi, «nudo e bagnato...».
«Dio, sei proprio uno stronzo».
Scrolli le spalle e ti rimetti seduto, poi raccogli da terra i pantaloncini da basket e la maglietta. Li indossi velocemente e ti dai una controllata allo specchio, sistemando i capelli.
Infine, ti volti di nuovo verso di me. «Sbrigati a rivestirti. Jennifer si starà chiedendo dove siamo finiti».
Chiudo gli occhi per un istante, per non vederti lì, in piedi in tutta la tua vergognosa bellezza e di nuovo nei panni del fidanzatino perfetto.
«Va’ avanti tu, Chris. Io devo...», con le mani indico il disastro che hai lasciato tra le mie gambe.
«Sistemati, ma fa’ veloce o arriverai tardi a lezione».
Poi ti riavvicini, appoggi un bacio leggero sulle mie labbra e corri da lei.
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