Ella sfarfalla le ciglia lunghissime un paio di volte, come se volesse mettere a fuoco la situazione. Nella penombra della sala percepisce un odore persistente di fiori appassiti mescolato a quello più discreto della carta stampata.
Libri. Una marea di volumi di svariate grandezze e colori. Sono ovunque intorno a lei, ma resta da vedere se ci siano copie senzienti, in grado di parlare, di muoversi e, soprattutto, di ragionare.
Ella rammenta il ringhio sommesso udito appena un paio di giorni prima e prega in cuor suo che le non capiti nulla di male. Chiude gli occhi e mentalmente formula la prima preghiera che le viene in mente: Gutenberg, dio dei caratteri mobili, della Bibbia e di tutti i libri stampati, aiutami tu!
I suoi pensieri vengono interrotti da un tonfo accompagnato da un fruscio di carta: pagine sfogliate. L’aroma dolciastro di fiori decomposti si fa a un tratto insostenibile. Ella teme di aver sbagliato preghiera.
Cerca di farsi coraggio come può, ripetendosi che non si è mai sentito parlare di libri dilaniati a morsi da altri libri. Solleva le palpebre di scatto, e comprende finalmente l’origine dell’odore invadente. Un’elegante copia rilegata in pelle de I Fiori del Male l’ha raggiunta, compiendo un agile salto dall’ultimo ripiano della libreria.
«Signore e signori, il genere è ancora tutto da scoprire, ma una cosa è certa: abbiamo fra noi un nuovo romanzo!» esclama, rivolgendosi a una platea indistinta, con il tono cerimonioso e squillante di un presentatore televisivo. Poi, voltandosi verso Ella, sussurra con voce pacata: «Cara, rammenta il consiglio di un amico: Sii sempre un poeta, anche facendo prosa».
Lo sguardo di Ella vaga confuso fra gli scaffali, alla ricerca di una spiegazione.
Intuendo il disagio dell’ultima arrivata, l’affabile ospite chiarisce: «I miei Fiori Maledetti hanno il compito di accogliere i nuovi venuti. Stai tranquilla. Mettiti comoda».
Il suo lato femminile si sente gratificato dall’inatteso omaggio floreale. «Maledetti», d’accordo, ma si trattava pur sempre di fiori!
«Eravamo ansiosi di conoscerti. Tutti noi – classici, novità, saggi, romanzi, copertine rigide e tascabili – non vedevamo l’ora che gli umani terminassero la lettura… sapevamo che saresti finita qui, fra i migliori» precisa la silloge, accennando un elegante inchino.
Ella è a dir poco stupefatta: «Ma quanti siamo? Ci sono molte altre copie senzienti oltre noi?»
Il libro si scansa per permettere a Ella di verificare la situazione con i suoi occhi. Un risolino sommesso serpeggia fra gli scaffali. Contemporaneamente le copie senzienti incominciano a palesarsi, chi saltellando sul posto, chi aprendo e chiudendo le due ali della copertina. Ella ne riesce a contare diverse decine.
«Oh! Incredibile! E pensare che alla libreria da cui vengo ne eravamo appena in cinque! Com’è possibile? Qui siamo in tanti. Tantissimi» specifica entusiasta.
«Novantotto, con te arriviamo a novantanove.»
Jekyll, da vero gentleman, non dà retta alle chiacchiere che circolano in libreria, e spesso è sempre l’ultimo a sapere le cose, perfino quando lo riguardano in modo diretto.
Mr Hide decide di riferirgli ogni cosa, per filo e per segno. In genere trova grande soddisfazione nell’illustrare i dettagli piccanti dei pettegolezzi. In quel particolare frangente, poi, il piacere è reso più intenso dalla consapevolezza che gli argomenti in questione possono mettere il dottore in seria difficoltà. Tanto basta per approfittarne in maniera bieca: «Lo sanno tutti che hai un debole per Jane Eyre. Sentimento, oltretutto, largamente ricambiato nei nostri confronti. Non devi illuderti, però, è il mio lato animalesco che l’attira. Il massimo cui puoi aspirare tu è una breve relazione con Madame Bovary».
Jekyll incassa il colpo, senza avere il coraggio di replicare. Mr Hide ha colto nel segno: il dottore darebbe volentieri il proprio ex libris in ceralacca pur di raggiungere lo scaffale ambito, accanto all’amata Jane. Ma a ferirlo di più è stata quella cattiveria, espressa con apparente noncuranza, sul fatto che Jane Eyre possa essere attratta dal suo brutale alter ego. In cuor suo sa che la provocazione cela un fondo di verità.
Mr Hide, non soddisfatto della stoccata appena inferta, si concede un ultimo affondo: «Non lasciarti ingannare da quella faccia da santarellina! Jane Eyre nasconde il suo doppione malvagio, al pari di me e te: quella pazza di Bertha Mason che tiene rinchiusa in soffitta. D’altronde dovresti averlo imparato, l’hai sperimentato sulla tua stessa carta, no? Nessuno è mai ciò che sembra».
Le sei figure femminili si chinavano in avanti, fiutando l’odore della paura come tigri affamate, accarezzandosi il petto mentre la luce delle lampade scivolava sulla pelle dalla tonalità ambrata. Muovevano le teste con lentezza, lasciando oscillare i capelli lunghi e vaporosi, composti in acconciature rigonfie e un po’ arruffate, mentre il respiro sibilava tra i loro denti appuntiti, minaccioso quanto quello di un serpente. Come una congrega di streghe riunita intorno a un falò o sotto la luce della luna piena, scivolavano in un girotondo ipnotico e spettrale, allungando di tanto in tanto le mani per strappare gli abiti dell’uomo legato. Le loro unghie lunghe e coperte di smalto dai colori cupi graffiavano il prigioniero, lacerando la pelle e facendo scorrere rivoli di sangue che venivano subito leccati avidamente per soddisfare la sete maledetta delle gole infernali.
Ferma sul pianerottolo accanto alla porta dell’appartamento di Melanie, Diana scrutava l’oscurità attraverso una grande finestra, scorgendo le luci dei palazzi vicini, dei lampioni e dei locali. Ripensava a notti lontane, quando l’arrivo dell’inverno faceva cadere le foglie dagli alberi dei boschi, rendeva meno costante la presenza di fauni e ninfe e annunciava l’apparizione di folletti e fate legati al gelo e alla neve. A quei tempi la caccia e la vita nelle foreste non si fermavano con la brutta stagione, si limitavano a cambiare e a spostarsi. Nelle mattine terse e immobili e nelle chiare notti di plenilunio lei continuava a per¬correre la vastità delle zone selvagge, a seconda delle circostanze proteggendo gli animali oppure trafiggendoli con le sue frecce. Aveva trovato grande conforto nel fatto che le cose andassero in quel modo. Si era sentita rincuorata dalla certezza che anche la morte rientrasse in un disegno immenso e preciso, in cui tutti i dettagli erano importanti. Purtroppo il passare dei secoli era riuscito a cancellare quella piacevole idea, ribaltandola nel sospetto che nulla avesse senso, nemmeno la vita.
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