Titolo : DENTRO IL MIO PECCATO
Autrice: LAURA C. PORTALE
Uscita : 10 Settembre 2016
Uscita : 10 Settembre 2016
Si tratta di un romantic drama novel, dove il lieto fine si otterrà a prezzo di un profondo cambiamento di sé.
Into My Sin series (self publishing, disponibile su Amazon):
1 Dentro il mio peccato (settembre 2016)
2 (novembre 2016)
3 (gennaio 2017)
Sevan Farrell è un architetto che lavora per una prestigiosa società di ingegneria di New York di cui ambisce a diventare socio, specie da quando ha iniziato a frequentare Rebecca Loewenthal, la figlia del fondatore dello studio che per lui ha rotto con il fidanzato storico, Travis Wilson.
Introverso, solitario e carismatico, Sevan appare inquieto e incapace di prendere le distanze dall'avventura avuta con una certa Sara, nonostante sia a un passo dall'ottenere quello che ha sempre voluto.
In rotta con il fratello di Rebecca, Noah, e poco presente al lavoro, Sevan dovrà affrontare anche la notizia della morte di Clara Bark, cui in passato era stato legato da un rapporto ambiguo e morboso.
Partito alla volta di Cape Cod per il funerale, Sevan scoprirà che Clara, nelle sue ultime volontà, ha espresso il desiderio che lui ristrutturi il vecchio faro acquistato da lei prima di morire.
Vincolato dal testamento a seguire i lavori in prima persona e ad assumere una squadra del posto senza la possibilità di appoggiarsi alla Loewenthal&Associati, Sevan deciderà di rimandare il fidanzamento con Rebecca e di vivere nella casa attigua al faro con Amoret Reed, l’ingegnere ambientale che Clara ha voluto nel progetto e che vive lì da sempre.
L'attrazione tra i due è immediata, ma entrambi sembrano decisi a non assecondarla.
Un passato da seppellire, un futuro da vincente e un presente che scompaginerà ogni cosa. Una storia d'amore, di perdono e rinascita.
Sentì un punto di calore centrargli la fronte, come una pressione leggera, ma Sevan Farrell non aprì gli occhi.
Le poche ore che dormiva per notte lo sfinivano con un sonno denso, ed era sempre un risveglio stanco ad augurargli buongiorno.
Non era avvezzo ai sogni, dei pochi che sopravvivevano alle mattine degli ultimi tempi ricordava appena una pasta inquieta di volti muti, volti di donne, volti confusi.
Accostò uno zigomo alla spalla sinistra, accartocciandosi sul divano rosso anni Sessanta con addosso ancora i vestiti del giorno prima, ma la calura aumentò e da punto che era divenne traccia, come il sentiero di un dito che gli aveva appena toccato un sopracciglio, la tempia, ed era sceso giù fino a sfiorargli la bocca.
Nella stanza annerita lampeggiava il LED verde della radiosveglia di modernariato che segnava le 5.37, l’aria sapeva di fumo.
Una punta fredda e affilata gli scostò le labbra, Sevan trasalì di colpo, svegliandosi.
Un’ombra gli era vicina un respiro, una mano era rimasta bloccata a mezz’aria. Sevan la mise a fuoco, sbatté le palpebre, si passò due dita sugli occhi e le fermò per qualche secondo, respirando veloce.
La mano lo toccò di nuovo, posandosi sulla sua. Sevan non la tolse.
«Sono stanco. Sono molto stanco, Sara.» disse «Vediamoci domani, vediamoci più tardi, ma ora lasciami dormire.»
Dietro gli occhi socchiusi, lui avvertì l’accenno di una risata.
La mano allontanò la sua e si trattenne in una carezza ferma lungo la guancia, Sevan riaprì gli occhi, la mano si mosse chiudendosi a dito, all’unghia che era tornata sulla fronte.
«Non aggrottarla.» sentì, la voce di lei piegata in sussurro, «Non è il caso.»
L’unghia era tornata a farsi dito e dal centro della fronte, lentamente, era ridisceso giù a cercargli le labbra.
Sevan sapeva che a guardarla negli occhi una volta non avrebbe potuto smettere e avrebbe continuato, a guardarla.
Schiuse le labbra e le richiuse a bacio, sul dito di lei.
La ragazza sorrise.
«Non puoi farci niente,» disse «non puoi vincermi.»
«No, è proprio questo il problema. Finirò per impazzire.»
«Oh,» rise lei e nel buio gli occhi neri s’incupirono ancora di più «lo spero proprio.»
Sevan la fissò. I capelli sciolti le ricadevano ai lati del viso e alcune ciocche sfioravano la scollatura della longuette nera. La sua pelle era chiarissima, gelida. E la piega di quegli occhi…
Sevan allungò una mano per scostarle i capelli da una spalla, abbassò una bretellina dell’abito, le accarezzò un braccio, raggiunse la vita. «Vieni qua.» le disse a voce bassa «Dammi un bacio.»
Sara si chinò in avanti, passandogli entrambe le mani dietro la nuca e posando la bocca sulla sua, Sevan se la tirò addosso, stringendola: non pesava nulla.
Lei iniziò a baciarlo, le labbra inumidite a giocare lungo la pelle mal rasata, sul collo lungo e sottile, passò a mordergli il mento, tornò sulla bocca, e gli chiuse gli occhi con un bacio più lungo, prima uno dopo l’altro.
Poi si staccò da lui e attese che Sevan riaprisse gli occhi, e che quegli occhi le sorridessero ora senza imbarazzo.
«Sei così bella…»
«Così bella che nemmeno il diavolo mi ha voluto.» lo interruppe con un gesto stizzito, tirandosi indietro e accoccolandosi sul bracciolo, la voce segnata da una nota imprecisa di sfida o protesta.
E quegli occhi. La piega degli occhi. Allungati in un nero arrogante, avrebbe potuto leggerle di tutto in quegli occhi, il dolore e il perdono, la vendetta, il rancore, la passione e la grazia, il peccato; ci sarebbe stato dentro di tutto -o quasi- ma in quel momento preciso c’era soltanto la vita di un uomo, e il desiderio di lui.
«Non staccarti. Resta qui.»
Lo fissò per qualche secondo, negli occhi un misto di voglia e disprezzo, poi scoppiò a ridere: «È ridicolo. Lo sai che non vado da nessun’altra parte.»
«Mi fai paura quando lo dici così.»
«Dovrei farti pena, invece.»
Silenzio. Un silenzio profondo, rotto soltanto dal respiro pesante di lui.
«Non ci salveremo mai, non è vero?»
«No, amore. Non ti salverai mai. Te lo giuro.» gli rispose, allungandosi in avanti per stendersi di nuovo sopra di lui. Gli premette la bocca sul mento, su una guancia, cercando uno spazio per le gambe, una mano ad aprirgli la camicia sgualcita, le dita, le unghie, avanti e indietro sulla pelle tesa dai brividi, giù oltre il petto, sul ventre, attorno all’inguine, il tocco spiacevole della ruvidità del jeans, la voglia, la rabbia.
Lui la voltò di forza su un fianco nell’urgenza di spogliarsi, nello sguardo la lotta che lo stava consumando.
Ed era sua la mano a cercare di bloccarla, come suoi erano i denti ad attaccare la spalla.
«Non lasciarmi segni…»
«Non essere stupido,» gli sussurrò «lo sai che non posso.»
La sensazione del corpo addosso -il corpo di lui-, le sue mani sulla pelle, nessun pudore, nessuno.
Un cuore impazzito. Sevan socchiuse gli occhi. Le dita a serrarsi sul sesso, vicini nel dolore, nel rimpianto, nella perversione di una stanchezza che non sapeva di fine. Dannati, insieme.
Ora.
-Dentro occhi così, avrebbe senso qualsiasi parola?-
Ora.
E tutto finì, in un piacere che veniva da lontano.
Vento sotto/palude sopra.
Sevan tornò al presente, alla ragione che chiamava per nome ogni cosa e che gli urlava che non c’era un miracolo in quelle quattro pareti, ma soltanto una condanna, un’agonia col fiocco rosa della colpa che avrebbe dovuto allevare da solo.
«Scusami.» le disse spostandosi e saltando giù dal divano. Aveva guadagnato il bagno, quando la sentì dire: «Scappa, scappa pure, ma né io né tu possiamo andare davvero da qualche altra parte.»
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