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CAPITOLO N. 2
Durante
un soggiorno a Londra, Russell Square era una bellissima
posizione
per gli spostamenti.
Quando arrivai con il taxi, Jessica era già
lì sulla porta dell’albergo.
Mi aspettava per fare gli onori di casa (come
se l’hotel fosse il suo).
Ma
mia cugina era fatta così.
Quando le annunciai il mio arrivo, Jess si
mobilitò subito per
organizzare
il tutto nel migliore dei modi e dovevo proprio dirlo: ci
sapeva
fare!
Non mi lasciò quasi scendere dall’auto che
mi si scaraventò
addosso.
Mi stritolò in un abbraccio sincero, urlando
di gioia. «Ciao Betty,
come
stai? Com’ è andato il volo? Vieni dentro presto che piove a
dirotto».
Effettivamente, presa dalla felicità, mi stavo
dimenticando di aver
portato
dall’ Italia nuvole cariche di pioggia da far invidia ai monsoni
Indiani.
Salite in camera, iniziai a disfare il bagaglio
e non potei fare a meno
di
raccontarle di quel ragazzo e dell’effetto che mi fece il suo sguardo.
Allora lei, con tutta la sicurezza maliziosa,
rispose: «Ti ci devi
abituare
cara Beth al fascino dei londinesi, già già! Sono tutti come
angeli
che fluttuano intorno a noi senza ali… Eeeh… Mica come
quegli
italianucci moraccioni, scuri, che incutono quasi terrore! Qui sei
nella
capitale della grazia e della raffinatezza.»
«Ehi, cosa vuoi dire che gli italiani sono
zoticoni senza finezza?
Cominciamo
bene!» mi sentii subito di controbattere.
«No, no, non intendevo affatto offendere…Uffi.
Insomma hai
capito
cosa volevo dire Beth. I ragazzi inglesi sono… ’diversi’ e
basta».
Già, lei di quella diversità si era innamorata
circa dodici anni prima,
tanto
da sposarsi con una cerimonia in stile ‘Queen Elizabeth’, in un
castello
immerso in una delle campagne londinesi più verdi che mai.
Ricordavo ancora le foto. Che spettacolo!
Sembrava davvero una
Regina
appena incoronata al fianco del suo Re.
Dopo qualche tempo, da quella meravigliosa
unione nacquero due
principini
favolosi.
|
«Dai Beth sbrigati, ti voglio pronta entro
mezz’ora! Ho in serbo una
sorpresa
per te».
«Cosa?» chiesi esausta «Volevo riposarmi un
po’ a dire il vero».
«Avrai tempo per farlo, ma non stasera», rispose
con un sorriso
sempre
più malizioso che incominciava ad incutermi un po’ di terrore.
«Va bene, dammi un attimo. Faccio una doccia
veloce e mi
preparo».
«Mi raccomando, niente jeans! Sai che la gonna
si può mettere
anche
con gli stivali vero?» disse con una sorta di rimprovero, dato che
conosceva
molto bene il mio abbigliamento prevalentemente composto
da
pantaloni e dolcevita a collo alto… Il più alto possibile.
Non amavo molto scoprirmi, non mi ero mai
vista bellissima, anche
se
tutti dicevano sempre il contrario.
Soprattutto Jessica mi faceva sempre notare,
anche nei suoi
messaggi
quotidiani, quanto fossi fortunata ad essere alta e spesso
diceva:
“Con quel metro e settantacinque
potresti andare in giro
anche solo con una tunica larga che tutti
morirebbero ai tuoi piedi!”.
Ovviamente, essendo la mia autostima pari a meno di zero, misi un
bel
paio di jeans con un dolcevita nero, però gli stivali li misi senza
indugio.
Almeno in una cosa l’avevo ascoltata.
«Pronta!» esclamai, mettendomi il cappotto,
rigorosamente nero.
Si girò di scatto: «Elizabeth! Ma possibile
che non ti sia ancora
integrata
con il tuo DNA femminile?»
Inarcando un sopracciglio, continuò, con un
lieve sorrisino ironico:
«Vabbè
per stavolta passi, ma guarda che in questo mese ti starò
addosso
come la polvere sui mobili!»
«Jess, ma che paragone!» risposi.
«Dai, dai che hai capito benissimo. Forza
andiamo, si fa tardi!»
Sorridendo mi prese sotto braccio ed accompagnandomi
verso la
porta,
per la prima volta da quando arrivai, sentii una grande paura
mista
ad eccitazione che fermentava nel ventre. Era ora di andare.
Dopo brevi fermate di metropolitana, arrivammo
al pub che da
qualche
anno lei e suo marito Charlie gestivano vicino alla City e, da
quel
che mi disse in metrò, gli affari stavano andando a gonfie vele.
Ma me ne resi conto di persona quando arrivai
davanti alla porta
|
Ad ogni passo che facevamo tutti la salutavano
calorosamente e lei,
contraccambiando
con dei sorrisi immensi, si destreggiava con
imponenza
e grazia tra la folla.
Appena arrivate al bancone del bar, salutai
subito suo marito.
Charlie mi offrì lo sgabello e ordinando un
cocktail, del quale non
sarei
minimamente stata in grado di capire il tasso alcolico, fece segno
a Jess
di fare gli onori di casa.
«Lo prendi anche tu?» mi chiese.
«No, no, grazie per me va bene anche una coca
cola!» risposi
subito,
dato che non sarebbe stato il caso di chiedere un “English tea”.
«Oh, Beth, non sai quanto sia felice di averti
qui per un po’» Jess
era
davvero carica di entusiasmo.
«Però potevi concedermi il piacere di averti
nel nostro
appartamento,
lo sai che per la zia Patty sei come una figlia».
Sì effettivamente il calore di mia zia e Jess
era sempre impresso
nella
mia memoria.
Fin da piccola, quando la mia famiglia abitava
ancora in Inghilterra,
capitava
spesso di restare a dormire da loro.
Ora però era tutto diverso. Ero cresciuta
e non volevo dipendere più
da
nessuno.
Con tutta la dolcezza che volevo dedicarle,
la rassicurai: «Oh cara
Jess,
non finirò mai di ringraziarti per tutto quello che già hai fatto, per
l’organizzazione
dell’alloggio e tutto il resto, ma non posso privarti dei
tuoi
spazi. Sono determinata a volermela cavare da sola d’ ora in poi.
Ma
grazie ancora veramente.»
Dopo un attimo di pausa, in cui mi ascoltava
paziente con lo
sguardo,
si risollevò dicendomi: «Vabbè, vorrà dire che per ora
continuerai
ad alloggiare in quella stanza d’ albergo, ma non appena
deciderai
di rimanere qui, andremo insieme a cercare un
appartamentino
coi fiocchi!»
Era sempre stata cocciuta, ma adesso addirittura
esagerava con i
sogni!
Non sapevo nemmeno cosa il destino avesse in serbo per me
nell’
imminente futuro, figuriamoci visualizzare progetti duraturi.
Le presi la mano destra e accentuai il sorriso:
«Oh, Jess, sei unica!
Grazie
di cuore!»
Stringendomi di più la presa, la vidi sollevare
lo sguardo dietro le
mie
spalle.
|
Tutto ad un tratto, il suo entusiasmo si affievolì,
lasciando il posto
ad
una sorta di preoccupazione che le fece corrugare la fronte. Era
strano
vederla in quel modo.
Lanciò un’occhiata a suo marito, quasi a volergli
fare mille
domande
attraverso gli occhi, ma vidi stranamente anche lui perplesso.
Quando capii la direzione in cui stavano guardando,
mi sentii
mancare
il fiato dai polmoni, ancora una volta in meno di dodici ore.
Sentii un brivido lungo la schiena. Trasalii.
Mi voltai lentamente e,
per
un istante, un brevissimo istante, pensai non potesse esser vero.
Nell’istante in cui mi accorsi che era reale,
li vidi ancora.
Gli smeraldi che mi scrutavano sull’ aereo
e mi fissavano al rullo
bagagli
di Heathrow. Era lui. Era l’angelo. Non potevo crederci.
Londra
era così grande, come era possibile?
Mio padre diceva sempre che ‘nulla vien per
caso’, ma se il destino
era
scritto, questo cosa voleva dire? Per quale motivo sentivo la sua
presenza
intorno a me ancor prima che riuscissi a vederlo?
Abbandonai le domande che mi sarei potuta
porre più tardi per
potermi
concentrare con più attenzione su di lui che, scostandosi dall’
ingresso,
ricominciò a camminare, destreggiandosi con un’elegante
disinvoltura
tra la gente che affollava il locale.
Con tutto il fascino che gli aleggiava intorno,
avanzava proprio
verso
di noi, di me. Santo cielo! Sarebbe venuto lì.
Il fiato mi stava abbandonando ancora. Non
riuscivo nemmeno a
trovare
il pavimento sotto ai miei piedi, figuriamoci se ero in grado di
proferir
parola.
Mentre si avvicinava i suoi occhi incontrarono
i miei ancora.
Ad un tratto si fermò a metà strada e, continuando
a fissarmi, con
uno
sguardo di smarrimento misto a piacere, arrivò al nostro fianco.
All’improvviso, Jess si alzò, mettendosi tra
di noi. Gli sussurrò
velocemente
qualcosa all’orecchio. Sembrava lo stesse rimproverando.
Ma
allora lo conosceva?
Senza rispondere al tono aspro di mia cugina,
l’angelo si porse con
tutta
la dolcezza che gli si addiceva.
Sentii per la prima volta la sua voce: «Buona
sera a tutti, Jess,
Charlie
e…», dedicandomi ancora tutta la sua incantevole attenzione
voltandosi
verso di me, continuò: «…questa signorina ha un nome?»
|
Attendeva che qualcuno mi presentasse, ma
sia Charlie che mia
cugina
sembravano profondamente arrabbiati con quella meraviglia
che
si era nuovamente materializzata davanti a me.
Ed io? Riuscivo a stento a ricordarmi di battere
le ciglia,
figuriamoci
se mai fossi stata in grado di rispondergli. Ma, proprio
mentre
cercavo affannosamente il coraggio nascosto dietro a gote
sempre
più rosse, ecco che Charlie prese in mano la situazione.
Con un tono leggermente più pacato rispose:
«Elizabeth, ti presento
William…»
e dopo un impercettibile attimo di smarrimento concluse:
«…mio
cugino».
La meravigliosa creatura che avevo davanti
si era appena
appropriata
di un nome terrestre.
Con spettacolare grazia, si mise di fronte
a me.
Mi prese delicatamente la mano destra. Nel
momento in cui le sue
dita,
perfettamente allineate, sfiorarono le mie, cessai ogni attività
cardiaca.
Le mie guance si scaldarono a tal punto da
far notare a chiunque la
mia
soggezione.
Il suono della sua voce mi fece nuovamente
trasalire e,
ricominciando
a respirare, evitando così ogni forma di embolia,
ascoltai
le note delle sue parole: «E’ un vero piacere poter fare la sua
conoscenza
Signorina Elizabeth».
La sua frase sembrava dettata da un romanzo
del novecento, così
estremamente
perfetto e delicato.
Ora toccava a me! Dovevo rispondergli con
il garbo giusto!
Su, forza, Beth! fatti coraggio! Esortai me stessa.
«Mmmh, piacere mio». L’imbarazzo era umiliante.
Riuscii
solamente
a farfugliare due parole, niente di più.
Mentre le nostre mani si stavano lentamente
allontanando, Charlie
trasformò
il tono pacato di poco prima con una voce austera: «Se
potete
scusarci un secondo io e mio… cugino dovremmo parlare in
privato.»
Si voltò verso di lui: «Will, vieni con me,
nel retro».
Il grazioso ragazzo fece appena in tempo ad
annuire delicatamente,
quando
un energumeno dietro di me inciampò, spingendomi giù dallo
sgabello.
Mi fece sobbalzare, ritrovandomi spinta violentemente, senza
la
mia volontà, proprio verso William.
|
Mi prese all’istante. E fu in quel momento
che sentii il profumo
della
sua camicia inamidata, che fino all’ attimo in cui non gli piombai
addosso
era perfettamente stirata, senza un angolo sgualcito.
Lui mi accolse a braccia aperte, preoccupato
del fatto che non mi
facessi
male, ma ad un tratto percepii un lieve tremore.
Stavolta non ero io, ma lui, che, irrigidendosi,
mi fece sentire la
muscolatura,
non eccessiva, ma perfettamente uniforme.
Ad un tratto, mi puntò i polpastrelli sui bicipiti
ed incominciò
lentamente
ad allontanarmi da lui, in un modo un po’… schizzinoso.
Ero mortificata del fatto che probabilmente
si fosse stizzito per la
camicia
stropicciata. Come se fosse stata colpa mia che l’energumeno
ubriaco
fosse inciampato. Oppure semplicemente non gli andavo a
genio.
Mi allontanai con maggiore veemenza, dicendo
subito: «Scusi, non
volevo,
mi dispiace».
Lui distese nuovamente le spalle. Finalmente
non erano più dritte a
mo’
di manichino. Accennò un sorriso: «Non si preoccupi Signorina
Elizabeth,
lei non ha colpa alcuna. Purtroppo, dico sempre a mio
cugino
Charlie di fare selezione all’ ingresso, cosicché personaggi
inadatti
non possano urtare una graziosa fanciulla».
Ecco in quel momento avrei voluto semplicemente
gettarmi un
secchio
d’ acqua ghiacciata in volto per affievolire il mio rossore.
Dovendo seguire l’ordine di Charlie si allontanò
scusandosi
gentilmente
e, quando finalmente rimasi sola con Jess, potei finalmente
prendere
un tovagliolo dal bancone per farmi aria. Il mio volto era un
raduno
di piccoli focolai che non accennavano a spegnersi.
Mia cugina mi esortò a bere un goccio d’ acqua
per riprendermi:
«Ehi,
Beth, ti vedo un pochino agitata».
«Già» riuscii a malapena a rispondere. «Ma
Jess, sai che… è lui?»
«Lui chi?»
«Il ragazzo dell’aeroporto! É lui»
«Cosa? Ma sei sicura? Ecco dov’ era». Jess
sembrava rassicurata da
quella
mia affermazione, ma non capendo cosa volesse dire la esortai a
darmi
delucidazioni.
«Vedi Beth… Beh… Ecco Will viaggia molto per
lavoro e, a volte,
si
dimentica di avvisarci della sua partenza. Senza dire nemmeno
quando
tornerà. Poi, essendo avverso ad ogni forma di tecnologia, non
|
usando
il cellulare, spesso e volentieri ci preoccupiamo di dove possa
essere…»
«Cosa? Davvero?» chiesi esterrefatta, dato
che poteva far parte di
quell’
un per cento che non usava ancora il telefonino in questo
mondo,
dove l’evoluzione della tecnologia era ormai di ordinaria
amministrazione.
«Ma che lavoro fa? Abita con voi?», cominciai
a farle una serie di
domande
perché il mio interesse stava andando oltre la semplice
curiosità.
Prima ancora che mia cugina potesse rispondermi
si
materializzarono
Charlie e William al nostro fianco e, sentendo i
brividi
che avvolgevano la mia schiena, ricominciarono ad accendersi
dei
leggeri focolai sulle gote.
Si girò verso di me e, con il tono austero
che molto probabilmente
gli
aveva insegnato Charlie durante il loro breve colloquio, disse: «E’
stato
un piacere Signorina Elizabeth, le auguro una buona permanenza.
Addio».
Cosa? Ma veramente mi stava salutando in quel
modo? Ma cos’ era
successo
con Charlie? Perché se ne stava andando proprio adesso che
l’avevo
rincontrato? Proprio ora che per la prima volta nella mia vita
ero
particolarmente interessata a conoscere una persona?
L’ unica cosa che potevo fare in quel momento
era lasciare il segno,
dovevo
usare la frase giusta, per far sì che non si potesse dimenticare
di
me.
Presi fiato e pronunciai poche semplici parole,
sperando di poter
essere
alla sua altezza: «La ringrazio. È stato un piacere anche per me.
Arrivederci.»
Centro! Non sapevo come, ma ero riuscita a
dare l’effetto
desiderato,
dato che William spalancò gli occhi aprendoli
maggiormente
quasi per penetrare nella profondità dei miei.
Sembrava stesse scrutando dentro alle mie
cavità oculari, come in
aeroporto,
come se volesse leggere dentro di me.
Ancora una volta, mi sentii fluttuare in aria,
perdendomi in quel
mondo
parallelo, in cui eravamo solo io e lui.
In quel preciso istante mi regalò un sorriso
che nessuna persona a
questo
mondo poteva surclassare in quanto a meraviglia.
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