[…] Aveva già percorso più di metà strada
quando una sorta di tremolio ingestibile cominciò a solleticarle lo stomaco
diramandosi poi verso gli arti e il collo che, oltretutto, iniziarono a sudare.
Aveva sperimentato che in quei casi poteva
essere utile pensare a qualcosa che la potesse distrarre. Si fermò a
controllare i prezzi degli abiti esposti nella vetrina di un negozio da uomo. Non
essendo interessata, iniziò a sommare tra loro le cifre dei prezzi, a calcolare
lo sconto e a sottrarlo dalla cifra iniziale.
Dopo aver rovistato a lungo, prese dalla
borsa una caramella al mentolo, la scartò e la inserì in bocca. La caramella
era talmente forte che le fece lacrimare gli occhi e ridere il cuore,
allontanando un po’ la tensione.
Pian piano, così facendo e benedicendo il
suo terapista, vinse l’incombente sensazione di malessere e smise di sudare. Fortunatamente
non si era trattata di una crisi di panico, perché i sintomi erano
riconoscibili come quelli tipici di un’ansia anticipatoria, quella che ne
preannunciava l’arrivo, per tale motivo occorreva pensare ad altro e distrarre
l’avversario.
Con un certo sollievo si rese conto che l’abitazione
di sua madre non era distante, ancora soltanto quattrocento metri da percorrere
e ce l’avrebbe fatta. Considerando che la sua falcata era lunga circa settanta
centimetri, calcolò a mente che in poco meno di seicento passi avrebbe
raggiunto la sua meta.
Così, iniziò a contare ogni suo passo e ad
abbinarlo a un numero progressivo, in quel modo avrebbe distratto la paura che
le stava con il fiato sul collo e l’avrebbe seminata. Doveva giocare d’astuzia,
sapeva che il suo coraggio non l’avrebbe abbandonata.
«Cosa sono seicento passi, inizia a
contarli, osserva i tuoi piedi che conquistano il traguardo. Uno, due,
venticinque, cento...» […]
«Ecco: questo
è un Re e questa è una Regina. Ondine, mi stai ascoltando?» chiede alla
bambina, baciandole la nuca prima di posare il mento sulla sua piccola spalla.
«E questo
cos’è?» indica con l’indice qualcosa sul volume.
«Quello è… un lupo, amore» tentenna
Matthew.
«Un lupo come
uno di quelli che sono nel castello della Regina Neve?» si volta a guardarlo,
lui trattiene il fiato.
«Esattamente»
dice Iris, appena giunta alle loro spalle.
Anche Iris è mutata, diventando più… oscura, oserei dire. Non ho avuto
occasione di conoscerla, prima, ma da quando il gemello è morto è evidente che
abbia perso con lui una parte di sé.
Forse si sente addirittura in colpa perché Björn è morto per proteggerla dalla furia di Bianca.
«E cosa ti ho
insegnato a fare, in caso ne incontrassi uno?»
Iris sorride alla piccola, accarezzandole una guancia.
«Devo fingere
di farmi prendere, e poi affondargli il pugnale nel collo!»
Ondine ride, sfila uno dei coltelli assicurati al petto di
Matthew e mima dei fendenti in aria.
No, mia figlia non vivrà mai il mondo come l’ho vissuto io. Purtroppo.
«Ehi, ciao,
Margie!»
Étienne si
affaccia dalla porta che collega salotto e cucina. Tiene per mano Sebastian,
che sembra restio a superare la soglia e stringe al petto un drago di peluche.
«Questa sera
siamo timidi…»
Il piccolo, imbarazzato, si nasconde dietro le gambe di Et, ma
continua a fissare di sottecchi Matthew.
Tira una manica della maglia di Étienne per farlo scendere alla sua altezza, prima di sussurrargli: «Papà, lo sai che non mi piace, quello lì…»
«Chi non ti
piace?» lo stuzzica Matthew, facendogli una linguaccia, mentre riprende il
coltello dalle mani di Ondine e lo ripone.
«Tu non mi
piaci! Come puoi piacermi se mi fai sempre le linguacce e hai in braccio la mia
ragazza?» si lamenta Sebastian, mentre noi adulti scoppiamo a ridere.
«Io non sarò
mai la tua ragazza!» ribatte la mia Ondine.
Lui sbuffa scocciato.
È proprio la fotocopia di Björn… come se non bastassero i capelli biondi legati dietro alla nuca
in un codino e gli occhi azzurri.
Il
dottore guardò la foto della ragazza: aveva lo stesso sguardo di Sophy. Lesse
altre cartelle, trovando qualcosa di abbastanza strano: tutti pazienti erano
giovani, fra i diciassette e i ventotto anni. Decise di appuntare quei dettagli
per poterne parlare con Sophy non appena ne avesse l’occasione: c’era qualcosa
che non tornava alla razionale mente del dottore, eppure non riusciva bene a
mettere a fuoco il problema. Nonostante sapesse con assoluta certezza che tre
ragazzi avessero camminato per quel corridoio una settimana prima, non vi era
traccia del loro passaggio e, mentre gli oggetti che avevano spostato
testimoniavano la loro presenza, non vi erano impronte per terra. Il dottore
guardò nella direzione dal quale era arrivato: le impronte sue e dei due
poliziotti erano ben visibili sullo spesso strato di polvere, perché quelle dei
ragazzi no?
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