«Quindi non conosceva nessuno che avesse una valida ragione
per volerlo morto?»
«No.»
«Non ha mai visto nessuno di fuori venirlo a trovare?»
«No.»
«Ha qualche sospetto riguardo a chi possa averlo ucciso?»
«No.»
Cui
prodest?
Greco si trattenne a stento dallo sbuffare. L’uomo seduto
dinanzi a lui lo fissava in attesa della domanda successiva. Non avrebbe mai
detto nulla di propria iniziativa. Si limitava a subire l’interrogatorio solo
perché non poteva farne a meno. Da lui non avrebbe ricevuto altro che
monosillabi privi di utilità.
«Va bene, signor Musumeci. Per adesso può andare. Se dovessi
ancora avere bisogno di lei la farò chiamare.»
L’uomo
si alzò, fece un cenno di saluto e lasciò l’ufficio. Marangolo richiuse la
porta. «Che dice? Faccio entrare il prossimo?»
Cui prodest?
Greco diede un’occhiata all’orologio. Si trovavano lì da più
di un’ora. Aveva chiesto lui al maresciallo di condurlo al negozio di Barresi.
Aveva pensato che interrogare i dipendenti del ferramenta sul posto di lavoro
li avrebbe resi più disposti a collaborare, ma i tre che aveva ascoltato nel
corso della mattinata avevano frantumato quella convinzione. Nessuno aveva
detto qualcosa d’interessante: non sapevano nulla oppure avevano paura. Si
erano limitati a confermare fatti già noti.
Aveva senso continuare? Forse no, ma doveva farlo lo stesso.
Per le apparenze, se non altro.
«Sì, lo chiami.»
Lorenzo guardò l’orologio sul suo comodino, segnava
le cinque meno un quarto e, come spesso gli accadeva, allungò la mano a toccare la parte di letto che era stata di Noemi.
Fece scorrere la mano sul materasso
e si fermò all’altezza del cuscino. Alzò gli occhi a guardarlo: era ancora come lei l’aveva lasciato quel maledetto giorno… il suo ultimo giorno di vita… con
l’affossamento che la sua testa aveva originato.
Non aveva mai parlato a nessuno di
quella cosa, consapevole che fosse un atteggiamento paranoico, ai limiti del
masochismo, al limite della follia, per dirla tutta.
Ma quante volte era partito con l’intenzione di spostare il cuscino e si era ritrovato, in
lacrime, ai piedi del letto, a ripetere ossessivamente il nome di sua moglie?
Era pazzo? E allora? Qualcuno l’obbligava a non esserlo?
Lo sapeva che non avrebbe mai
spostato quel cuscino.
S’immaginava,
vecchio e mezzo rimbambito, a guardare quel letto, quel cuscino impolverato e
pieno di ragnatele, ma con ancora il segno lasciato dalla testa di sua moglie,
morta molti anni prima.
«Avete
le prove?»
«Abbiamo
certezze e per me e i miei compagni questo è sufficiente per condannarvi.»
«E
allora perché avete bisogno di prove?» domanda il professore interrompendo il
suo silenzio.
«Perché
la loro condanna non è quella di morte» risponde la giornalista.
«Il
tuo maestro ha ragione a definirti intelligente. Nel nostro gruppo c’è chi
pensa che noi abbiamo il dovere morale di eliminare criminali come voi, ma c’è
anche chi pensa che ci dobbiamo limitare a consegnarvi alla Polizia, ovviamente
dopo aver trovato prove sufficienti a farvi passare in galera il resto della
vostra vita.»
«E
quali prove vorreste?» domanda il docente.
«Tu
hai tenuto un registro dei tuoi adepti al pari di quello che avresti fatto con
i tuoi allievi. Mi domando se tu non abbia fatto la stessa cosa con i compiti
in classe.»
«Cosa?»
«Credo
che tu abbia registrato le performance dei tuoi fedeli nel momento in cui
effettuavate i sacrifici umani. Credo che le registrazioni siano conservate in
un luogo sicuro. Una casa per il fine settimana, un garage, una cassetta di
sicurezza. Voglio che tu mi dica dove sono queste registrazioni.»
«Lei
è pazzo.»
«No,
sono una persona razionale, ma per tua sfortuna, sono anche molto cattivo.»
«Maestro
non lo stia a sentire. Prima ha confessato che non può ucciderci. Non credo possa
tenerci in questo posto in eterno, quindi la nostra prigionia sarà limitata nel
tempo. Se saremo abbastanza forti da sopportare le sue torture ne usciremo
fuori doloranti, menomati, ma liberi» urla la donna.
«La
tua adepta più fedele ha ragione. Non abbiamo tanto tempo a disposizione, ma ha
torto su due punti. Il primo riguarda la capacità di sopportare quello che
potrei farvi. Conosco tecniche di tortura molto più dolorose di quello che
possiate immaginare nei vostri peggiori incubi. La seconda riguarda il concetto
di tempo. Anche pochi giorni possono sembrare eterni se si riesce a riempire
ogni minuto con il dolore. E stai sicuro che io ve ne farò sentire tantissimo.»
«Maestro,
non lo stia a sentire» grida la donna.
«Quello
che cesserete di udire saranno le vostre voci. Vi lascio qualche ora per
riflettere sulle mie parole» afferma Antonio chiudendo la bocca della
giornalista con il nastro adesivo per poi ripetere l’azione con il professore.
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