Capitolo n. 14 - Tom
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Maledizione se era stupendo, anche con la barba di un giorno e gli occhi rossi di pianto, era sempre bellissimo. Il suo viso aveva carattere, i tratti affilati esprimevano tutta la sua pena, ma ora vi si scorgeva una determinazione che prima mancava. Forse aveva finalmente deciso di andare avanti?
“Ti va di tornare si là? Ho freddo, preferisco stare vicino al camino” disse piano Rhys, forse era solo una scusa per non stare nella camera da letto dell’altro uomo, ma Tom non si fece alcun problema ad alzarsi e dirigersi nuovamente verso il divano. Rhys lo seguì e gli si sedette accanto. Si torceva le mani e sembrava sulle spine, ma almeno sembrava che provasse qualcosa, al contrario dell’apatia che l’aveva imprigionato così a lungo.
“Io sono un debole. Lo sono sempre stato. Ho sempre scelto la strada facile. C’era Sean a cui appoggiarmi, era lui quello forte, quello che prendeva di petto le situazioni e le affrontava a testa alta. Quando è morto mi sono sentito mancare la terra sotto i piedi. Chiunque affronterebbe un lutto cercando conforto nella propria famiglia, piangendo, lottando per andare avanti. Io no. Io ho cercato conforto nella bottiglia. Sono stato ubriaco per otto mesi prima che i miei genitori mi scovassero a Berlino. Sai cosa mi fece accettare la clinica di disintossicazione? Una cosa che mi disse mio padre” una volta iniziato Rhys sembrava un fiume in piena “Lui mi disse che un vero uomo affrontava il proprio dolore, non cercava di evitarlo con lo stordimento. Sean si meritava di meglio che quel comportamento inetto” Rhys rise con amarezza “E come sempre, mio padre aveva dannatamente ragione. Così tornai sobrio e, non appena i miei allentarono la sorveglianza, cambiai nome e continente. Non li vedo da quasi due anni”
“Perché? Insomma, non ti vogliono bene? Ti trattavano male perché amavi Sean?” chiese quindi Tom per cercare di capire la situazione, ma a quanto pareva la sua domanda era stata molto inopportuna perché Rhys lo stava guardando con tanto d’occhi come se fosse stato un marziano.
“Non so cosa tu abbia capito, Tom. Sean era mio fratello, non il mio amante” gli spiegò quindi Rhys e Tom si sentì arrossire fino alla radice dei capelli. Quindi Rhys soffriva per suo fratello? Lui aveva fatto outing, per la prima volta nella sua vita, con un perfetto sconosciuto che poteva benissimo essere un maledetto fanatico cattolico irlandese?
“Tranquillo, Tom. Rilassati. Sono gay, su quello ci hai preso comunque” affermò Rhys notando l’imbarazzo dell’altro.
“Scusa, io...” cominciò Tom, non sapendo nemmeno lui di preciso di cosa si volesse scusare, ma Rhys lo interruppe subito.
“Lascia stare, Tom. E comunque i miei genitori mi vogliono bene. Non mi hanno mai capito, ma mi hanno sempre sostenuto. Forse è per questo che dovevo allontanarmi da loro, per una volta non volevo sostegno, volevo affrontare tutto da solo. Da quando ho messo il piede fuori da quella clinica di Londra, sono cambiato radicalmente e ho abbandonato la musica che, fino a quel momento era stata tutta la mia vita. Sono cresciuto in una fattoria sognando di scappare da lì appena possibile ed invece, visto che addestrare cavalli era l’unica cosa che conoscevo davvero, sono tornato a quella vita che tanto deprecavo. Ho la doppia cittadinanza, visto che mia madre è americana, così ho deciso di venire qui dove nessuno avrebbe potuto riconoscermi. Ecco tutto. Sono solo un povero idiota che non riesce ad elaborare il lutto per suo fratello” concluse Rhys minimizzando l’intera storia.
“Parlami di Sean. Dovevate essere molto legati” disse quindi Tom capendo che c’era molto di più sotto.
“Già” rispose laconico Rhys, forse non aveva più voglia di sviscerare la sua vita davanti ad un estraneo “Sean aveva due anni meno di me, ma conoscendoci avresti detto che fosse lui il maggiore. Lui sapeva quale sarebbe stata la sua vita fin da quando aveva cinque anni e mia madre gli chiese che strumento volesse imparare a suonare. Lui avrebbe suonato il violino, punto. Tutti se ne accorsero subito, aveva solo diciassette anni quando fu spedito a New York con una borsa di studio per la Juliard” mentre raccontava tutto ciò, un leggero sorriso aleggiava sulle labbra di Rhys, come se stesse rivivendo certi ricordi nella mente “Dio, com’ero orgoglioso di lui. Io a quel tempo vivevo a Dublino, ma ci sentivamo il più possibile. Lui era il mio migliore amico, il mio confidente, il mio tutto. Sean sapeva tutto di me e mi voleva bene e non solo perché ero suo fratello. No, lui mi leggeva dentro come nessuno aveva mai fatto. Quello stupido era un romanticone nato, aveva messo piede a New York da due giorni quando incontrò Kathy. Mi chiamò la sera stessa per dirmelo: aveva incontrato l’amore della sua vita” il tono di Rhys era divertito, ma venato di tristezza “Tornò a casa tre anni dopo con una moglie. In paese specularono per mesi sul perché del loro matrimonio non capendo che erano semplicemente innamorati. Fu un periodo bellissimo. Sean e Kathy vennero a vivere a Dublino e non facevamo che bere e suonare insieme. Io avevo messo su un gruppo e Sean iniziò a suonare con noi, prima quasi per scherzo poi iniziando a scrivere con me testi e musica. Kathy era sempre in prima fila ed era al settimo cielo insieme a noi quando ci scritturarono per dei concerti. Quando firmammo un contratto, Sean mi prese da parte e mi disse che lui avrebbe fatto quella vita per qualche anno al massimo, giusto per mettere da parte qualcosa per il futuro, ma che a venticinque anni, fama o non fama lui si sarebbe ritirato” Rhys era turbato dal racconto, ma si fece forza e continuò “Sean era così pieno di vita e di sogni, era sposato, voleva dei bambini, non beveva, non fumava, il suo unico vizio era la musica. Viveva per la musica e per Kathy. Sarebbe stato un padre meraviglioso. Invece Dio se l’è preso un mese prima dei suoi venticinque anni, al culmine della felicità e del successo. Un attimo prima stavamo suonando davanti a migliaia di persone a Time Square e un attimo dopo lui era lì, accasciato sul palco che non respirava più” calde lacrime avevano preso a scendere sulle guance di Rhys, ma lui se le asciugò con rabbia “E’ per questo che non riesco a farmene una ragione. Io sono sempre stato un inetto. Non avevo mai avuto una relazione degna di questo nome, non avevo sogni a parte cantare, bevevo troppo, fumavo troppo. Perché Dio non si è preso me invece di lui?” concluse quasi gridando Rhys.
Tom non si aspettava tutta quella veemenza, ma la conclusione non gli giungeva inaspettata. Com’era facile vedere in prospettiva i problemi degli altri invece che i propri.
“Sono stanco di piangere, di stare male, di sentirmi in colpa” bisbigliò Rhys, come se ormai fosse rimasto privo di forze “Dopo la morte di Sean ho rinunciato a tutto, soprattutto alla musica” come se avesse bisogno di prendere coraggio per continuare, Rhys prese un respiro prima di dire “Avevi ragione prima, la ferita me la sono fatta io. E’ solo che, a volte, mi sento come se non riuscissi a respirare, come se nulla fosse reale a parte il vuoto che sento nel petto. Allora il dolore fisico e la vista del sangue mi tranquillizzano, mi fanno sentire, mi fanno provare di nuovo qualcosa” concluse infine chiudendo gli occhi e poggiando la testa sulla spalla di Tom, cogliendolo alla sprovvista.
Tom non sapeva di preciso come Rhys si aspettava che lui reagisse. Doveva spronarlo a reagire? Doveva dirgli che lo capiva? O doveva restare solamente in silenzio offrendo la sua muta solidarietà? Innanzi tutto Tom, anche dopo aver incidentalmente sentito una sua canzone trovandola stupenda, non aveva idea che Rhys ed il fratello fossero stati così famosi a livello musicale. D’altronde per suonare davanti a migliaia di persone bisognava per forza essere famosi, no? Ma anche con tutta la buona volontà, Tom non aveva proprio idea del genere di musica che potevano suonare. Oltretutto non era mai stato bravo con i sentimenti, ma si buttò comunque.
“Voglio solo chiederti una cosa, Rhys. Se Sean potesse vederti ora, pensi che sarebbe contento di vedere come stai vivendo?” non voleva esagerare, voleva solo spronare Rhys non fargli salire altri sensi di colpa.
“Sai Tom, razionalmente so che hai ragione. Ma continuo a pensare di non meritarmi questa vita, che sarei dovuto morire io su quel palco” rispose Rhys senza aprire gli occhi, né senza spostarsi dalla spalla di Tom.
“Forse dovresti iniziare a fare qualcosa per non sprecare questa vita che ti ritrovi a vivere” esplose Tom, la gentilezza soppiantata dalla rabbia visto che Rhys sembrava così intenzionato a buttare tutto alle ortiche “Maledizione, hai una famiglia che ti ama, una vocazione come quella per la musica, sei ancora giovane e sano anche se fai di tutto per distruggerti. Io cosa dovrei fare? Non mi è morto alcun fratello, ma almeno tu avevi qualcuno su cui contare! Nessuno c’è mai stato per me, né quando arrivavo a scuola con un occhio nero, né quando mio padre ha venduto il ranch, la mia eredità, per potersela letteralmente bere!” concluse alzandosi in piedi e stringendo le mani a pugno lungo i fianchi.
Rhys lo guardava a bocca aperta, gli occhi grandi come due piattini. Sì, il dolce e comprensivo Tom si era stancato. A questo Tom giravano a mille.
“Il... questo ranch era della tua famiglia?” balbettò poi Rhys quando riuscì a mettere insieme una frase coerente.
“E non guardarmi così! Sì, il ranch era mio! Ci ho lavorato duramente da quando ero poco più che un bambino, ingoiando tutta la merda di mio padre sognando che un giorno tutto questo sarebbe stato mio, ma quando avevo ventun anni mio padre ha venduto tutto ed è sparito nel nulla. Almeno si è degnato di lasciarmi questo capanno e di mettere come clausola della vendita la mia presenza come sovrintendente. Anche se ero molto giovane nessuno ebbe da ridire perché mi vedevano comunque come il figlio del capo anche se mio padre aveva fatto fagotto, ma non è stato facile, tutt’altro. Ogni centesimo è finito nella scuola di mia sorella prima e nel suo centro di estetica poi” concluse Tom, sempre furente.
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