giovedì 2 aprile 2015

St. Nacho di Z. A. Maxfield


Cooper ha trascorso gli ultimi tre anni a scappare da un passato doloroso. Si sposta di città in città, lavorando nelle cucine dei ristoranti e suonando il violino per racimolare qualche mancia. Non appena inizia a sentirsi a proprio agio in un posto, o con qualcuno, se ne va. La musica è forse l’unico linguaggio umano che ancora conosce e, per ironia della sorte, l’unico uomo con cui scopre di voler comunicare è sordo.
Shawn fa parte del gruppo teatrale di non udenti del college locale. Non appena incontra Cooper, decide di volerlo.
A Cooper vanno bene le storie di sesso, ma non le persone. Shawn invece è sì interessato al sesso, ma vuole che Cooper gli permetta di entrare a far parte della sua vita.
Cooper ha bisogno di tempo per guarire e per archiviare definitivamente il passato, e Shawn lo deve aiutare a perdonare se stesso e a fargli accettare la possibilità di essere amato.
Entrambi gli uomini scoprono che quando si tratta del tipo di guarigione che l’amore può portare, Santo Ignacio, la sonnolenta città sulla spiaggia, o “St. Nacho” come lo chiamano i locali, potrebbe essere il posto giusto per ricominciare.




All'inizio della storia si pensa: wow un motociclista tatuato, pieno di piercing e cicatrici, ma che suona il violino? Sicuramente nasconderà un cuoricino tenero. Sì, come no. In realtà sono tre anni che scappa dalle conseguenze delle sue azioni e da un passato fatto di alcol e sregolatezza. 


Non si può dire che non raccolga ciò che ha seminato. Si sa che scappare non è mai la soluzione e Cooper lo scoprirà proprio quando troverà finalmente una ragione per fermarsi, un ragazzo che valga la pena dell’affrontare i propri demoni personali e sconfiggerli. 

La storia tra Cooper e Shawn inizia come una scopata e via, un rapporto veloce e privo di gentilezza (per volere di Cooper ovviamente). Persino i baci tra loro sono come un traguardo verso la distruzione dei muri eretti attorno al cuore di Cooper che si vedeva come una puttana senza il diritto di poter condividere con Shawn qualcosa di più del sesso.
Shawn, d’altro canto, a soli ventidue anni è molto più maturo di molti suoi coetanei. Avendo vissuto quasi tutta la vita isolato nella sua bolla di silenzio riesce a comprendere meglio Cooper e a vedere attraverso il suo atteggiamento sfuggente e spesso duro.


La parola amore non viene pronunciata, solamente alla fine e solo da Shawn, ma tutto in Cooper la urla in molte occasioni. La loro storia nasce quasi contro la volontà dello stesso Cooper, convinto di non essere abbastanza per un “bravo ragazzo” come Shawn. Ma il racconto non è incentrato sull'amore in quanto tale, ma come strumento di redenzione. Ad un certo punto Cooper verrà messo di fronte al proprio passato e dovrà trovare la forza di compiere la scelta: ricaderci dentro oppure lottare per un nuovo futuro.

Ho trovato questo romanzo molto emozionante, ero partita considerandolo piuttosto banale, ma mi sono ricreduta in fretta. L’autrice è riuscita a creare una storia coinvolgente che fa riflettere e riconsiderare le proprie convinzioni, che esorta a credere nelle seconde possibilità e a non giudicare senza appello.


«Non bacio.» Ci fissammo a vicenda, a lungo. Infine, annuì e mi avvicinò di nuovo a sé.
«Come Pretty Woman,» disse contro il mio orecchio, poi si tirò indietro per guardarmi.
«Cosa?» gli chiesi.
«La ragazza di quel film, la zoccola. Non dava baci,» spiegò con quella sua voce piatta.

C’era qualcosa di perfetto che sarei riuscito a descrivere solo in seguito, qualcosa che mi colpiva per quanto fosse raro o nuovo o vagamente inquietante, ed era il modo in cui mi sentivo perfettamente a casa tra le braccia di Shawn. Era il modo in cui il mio corpo cercava il suo, senza sforzo, senza pensarci, solo per il piacere del tocco. Era il modo in cui assaporavo ogni carezza e strusciata e contatto giocoso dei nostri corpi.Lo sentii sorridere sulla mia pelle.
«Diventerà una bella storia.» Mi sembrava si stesse appisolando. Era sempre il primo.
«Cosa?» Gli diedi un colpetto sul volto e i suoi occhi si aprirono. Chiesi: «Che storia?» «La nostra storia. Tua e mia.»

«Merda,» disse Jim, guardandomi. «Se non l’avessi visto di persona, non ci avrei creduto.»
«Cosa?» Mi occupai dell’aglio, pensando che i peperoni potessero aspettare; avrei dovuto usare i guanti per quelli, e li odiavo.
«Hai riso. E sei arrossito.» Prese una delle patatine che Oscar aveva tolto dalla friggitrice e la agitò, soffiandoci sopra. «Santo Ignacio, amico, è nell’acqua.» Lasciò la cucina.
«Cosa dovrebbe significare?» chiesi a Tomas, che fece spallucce e buttò le tortilla chip nella salsa chilaquile.
Oscar stava rompendo le uova per strapazzarle. «Significa che Santo Ignacio è il tipo di posto dove un uomo può sbarazzarsi dei problemi. È un posto per guarire, m’hijo. E quando sei arrivato avevi l’aria di uno a cui avrebbe fatto bene.»Però, mano a mano che i giorni passavano e io viaggiavo per il Paese percorrendo miglia infinite di prati sotto al cielo aperto, cominciai a non vedere l’ora di arrivare a casa. E al mondo non c’era altro posto che avrei chiamato casa se non il St. Nacho.

Nessun commento:

Posta un commento