Titolo: Ibrido
Autore: Isa Thid
Casa Editrice: editrice GDS
Genere: urban fantasy
Numero pagine: Lunghezza stampa 191
Prezzo ebook: 2,99€
Il Mondo Specchio e il Mondo Umano si sono dissolti originando l’Ibrido.
Lara ha un potere sconfinato, ma nella sua mente ospita un abominio. Vera è la giovane tatuata della Profezia, ma il suo destino le è sconosciuto. Lucia si unisce alla resistenza, ma non può rinunciare alla magia.
Sin da piccola Lara vede il Mondo Specchio attraverso qualunque superficie riflettente, per questo i genitori hanno tentato di curarla e poi fatta rinchiudere in un centro di salute mentale. A salvarla è stato lo zio, un vecchio alchimista che vive in una villa nella collina di Torino. Il romanzo si apre con un grande rituale in cui Lara unisce il mondo umano e il Mondo Specchio e genera l’Ibrido, accettando nella propria mente il suo doppio, un abominio dal grande potere.
Un anno dopo a Torino arriva Vera, legata al Mondo Specchio da un tatuaggio e un’antica profezia. Assieme alla sua coinquilina Lucia, una strega wiccan, incontra Telemaco, reduce del Mondo Specchio che comanda la resistenza contro l’abominio e la sua ospite umana, Lara. Le storie s’intrecciano nel nuovo mondo Ibrido tra magia, combattimenti e decisioni difficili, mettendo alla prova l’amicizia e la morale delle tre ragazze.
Sembrava che danzasse. I singhiozzi la scuotevano in movenze disarticolate, al ritmo assordante del suo cuore. Le mani artigliavano i capelli corvini. Si avvicinava allo specchio imponente, si ritraeva.
Quando i singhiozzi passarono, lasciandola preda del silenzio, alzò lo sguardo a cercare la propria immagine riflessa.
“Presto saremo insieme” sussurrò tendendo una mano.
La fata mosca, ancorata con i piccoli artigli alla sua spalla, allungò a sua volta il braccio e con una vocina biascicante intonò un lamento d’amore. Il canto risuonava nel salone producendo un’eco stridente. Raschiava sui marmi del pavimento e sul legno centenario delle librerie spegnendosi negli angoli più bui, dove si nascondevano i topi.
Lara si strappò la fata dalla spalla e la fissò con odio. Poi si ricompose, la posò a terra e fissò lo sguardo sullo specchio.
“Ama solo te, questa piccola creatura ingrata. Ne conosci la ragione?”
Il suo riflesso rimaneva immobile, inespressivo.
“Perché io non sono niente e mi perdo in ogni cosa” disse. “Non sono altro che il desiderio di te, il tuo negativo impotente. Per questo Dolore ama solo te, mio dolcissimo mostro.”
La fata era lunga quanto l’indice della mano di un bambino e nera come la pece. Le ali erano sottili e rigide come quelle di una mosca e in quel momento erano raccolte sulla schiena mentre avanzava piano verso lo specchio, adorante.
Il riflesso di Lara l’accolse schiudendo la bocca in una risata e un fiotto di sangue si riversò sul pavimento. Gli occhi ciechi si muovevano frenetici. “Sì, piccolo Dolore, torna da me” disse ridendo. Si leccò le labbra. “Mi sei mancato tanto.”
Quando la fata toccò la superficie fredda del vetro il suo esoscheletro divenne lucido e le ali presero a muoversi in una danza frenetica.
“Presto saremo insieme” disse Lara, infastidita, “e potrete unirvi di nuovo.”
“Sì, sì” friniva la fata.
Lara riacquistò il controllo del proprio corpo e fece per uscire a grandi passi dal salone. Arrivata alla porta si voltò a fissare lo specchio. Il suo riflesso le sorrideva, avvolto in una nube di fate mosche che gli sciamavano intorno. Le sarebbero mancate le lunghe conversazioni che negli anni erano diventate un’abitudine. Avrebbe provato nostalgia del brivido che sentiva ogni volta che il suo doppio la fissava con gli occhi bianchi come biglie di vetro, ma non era il momento per lasciarsi andare all’emozione. Soffiò un bacio silenzioso che accompagnò per un tratto con lo sguardo, poi uscì tirandosi dietro la lunga veste.
Chiuse piano la porta e nel ruotare il pomo d'ottone il polso scivolò fuori dalla manica, mostrando il tatuaggio ancora nuovo sulla sua pelle. Ne aveva uno gemello sull’altro braccio, due sulle spalle e sulla pianta dei piedi, uno sulla nuca. Era un intricato sistema di simboli racchiusi da un Ouroboros, il serpente che si morde la coda, simbolo della ciclicità del tutto. “Per compiere il miracolo della Cosa Unica” sussurrò tra le labbra.
Ricordava il rituale, la congrega disposta in circolo e lo zio nelle vesti sacerdotali. Ricordava i canti e le rune, il turibolo e l’Athamè, gli aghi che le dipingevano la pelle rendendola un pentacolo vivente. La luna la guardava sorridendo, quasi che anche lei aspettasse con impazienza di ricongiungersi alla sua gemella.
Accarezzava distrattamente Dolore mentre avanzava a grandi passi verso l’ala ovest. La villa in collina era enorme e pavimentata di marmo. Lara sapeva che poco distante, appena oltre il Po, la città di Torino brulicava di vita e conversazioni chiassose, ma nella dimora di Alfonso Beccaria gli spazi dilatati inghiottivano i suoni.
Percorse il lungo corridoio dei laboratori alchemici e si fermò di fronte all’ultima porta, la più semplice a un primo esame, ma intessuta di simboli leggendari agli occhi di chi sapeva guardare. Lara bussò.
Quando irruppe nello studio trovò lo zio semi sepolto dai suoi tomi, come sempre.
“Buonasera, mia piccola Lara, sei già pronta?” le chiese senza staccare gli occhi da una pagina fitta di codici.
“Credevo te ne fossi dimenticato, cosa ci fai ancora qui?” chiese lei.
“Ricontrollo i calcoli. Con la vecchiaia si diventa paranoici, sai.”
“Io presto sarò pronta, la congrega è pronta, il mio doppio è pronto. Manchi solo tu.”
“Oh, ecco, bene allora, andiamo” disse lui scostando le carte e tirando indietro la sedia.
Lara indossava un semplice saio nero, niente a che vedere con le tuniche elaborate che suo zio avrebbe affrontato nella vestizione cerimoniale.
“Ti lascio ai tuoi preparativi, zio, devo incontrare Marta. Ma sii puntuale, mi raccomando.”
Il vecchio la rassicurò in ogni modo, strappandole un sorriso. Sorrideva ancora, pensando allo zio che avrebbe sbuffato dando filo da torcere alle accolite, mentre scendeva al piano terreno in tempo per vedere i domestici impegnati a trasportare il grande specchio dal salone alla radura nel bosco. Le streghe aspettavano appena sotto la scalinata d’ingresso reggendo ognuna un sacrificio, chi un agnello, chi un coniglio dal pelo candido. Nell’aria fredda di Samhain serpeggiava una sensazione d’attesa e gli animali erano irrequieti.
Sobbalzò quando sentì un tocco lieve sulla spalla, ma prima di allarmarsi riconobbe Marta, la capo congrega e sua buona amica, pronta a guidarla nell’ultima meditazione.
“Sei pronta, piccola Lara?”
La ragazza sorrise, pensando a come una lunga convivenza potesse portare persone molto diverse tra loro a esprimersi nello stesso modo.
“Non sono piccola” recitò come un riflesso condizionato.
Marta le sorrise, incoraggiante. “No, è vero, oggi sei tutt’altro che piccola. Sei pronta, lo sento, eppure temo per te.”
Lara prese fiato per replicare ma la donna la precedette. “So cosa vuoi dire, non ho intenzione di distoglierti dal tuo compito, Ecate mi protegga. Però voglio che la tua mente e il tuo cuore siano aperti, le orecchie tese ad ascoltare i consigli dei numi. Se ti dicessero di fermarti lo faresti, vero?”
Non sbuffò. Negli anni di studio aveva sviluppato un grande autocontrollo, inoltre le preoccupazioni di Marta le suscitavano tenerezza. Eppure le trovava completamente infondate. Non riusciva a capire come mai quella donna tanto saggia non accettasse l’assoluta perfezione del piano che suo zio ordiva da decenni. Proprio quella notte si faceva venire dei dubbi? La notte di Samhain, in cui la barriera tra i mondi era più sottile.
“Se un Dio scendesse in terra e mi bisbigliasse all’orecchio di desistere forse lo farei, sì. Ma non accadrà” rispose, con più cocciutaggine di quanto avrebbe voluto.
“D’accordo allora, vieni con me” fece la strega cingendole le spalle col braccio esile.
Marta era piccola come un uccellino, tanto magra che le si vedevano le ossa e talvolta il cranio emergeva sotto la pelle tirata del viso. Eppure aveva una certa grazia, nei capelli d’argento e nei movimenti fluidi. Gli occhi erano chiari e sempre svegli, come intenti a cercare qualcosa.
Vedendola al mercato poteva sembrare una vecchia pazza, certo, ma al centro di un circolo rituale risplendeva di una volontà indomabile. Questo e molto altro pensava Lara mentre percorreva i corridoi della grande villa fino a raggiungere un minuscolo chiostro circondato da portici e rampicanti. Al centro una fontanella riversava acqua limpida in una polla, che rifletteva il cielo come uno specchio.
“È quasi il tramonto” sussurrò Lara.
“Non avere fretta” la rimbrottò la strega. “Preparati.”
La ragazza allora si avvicinò all’acqua, percorse la piccola penisola che consentiva di raggiungere il centro della polla e sedette nella posizione del loto, la tunica che si tendeva sulle ginocchia.
“No, non così, stasera voglio che t’inginocchi, così da poter scrutare l’acqua.”
Lara si voltò a fissarla, chiedendosi se fosse un trucco per ritardare il rito, ma l’espressione determinata della sua maestra la dissuase dal fare domande. Fece come comandava, raccogliendo i piedi sotto le gambe e chinandosi sull’acqua.
“Cosa vedi?” chiese Marta. La lezione era iniziata.
“Vedo il Mondo Specchio.”
“Bene, ora medita su ciò che vedi.”
La strega iniziò a bisbigliare una cantilena antica, ma Lara non riusciva a concentrarsi. La mente correva al rito, ai preparativi, alle cose fatte e a quelle da fare, alla congrega che aspettava, allo zio che si preparava, al suo doppio. Non trovava, per quanto si sforzasse, il senso di quell’ultima meditazione.
“Lara” disse Marta interrompendo il corso frenetico dei suoi pensieri. “Non ti permetterò di officiare il rituale se non avrai prima eseguito questa meditazione, perciò rassegnati. C’è una verità che devi comprendere e accettare prima di proseguire. Dunque, cosa vedi?”
Lara chiuse gli occhi, rilassò i muscoli delle spalle, incrociò i piedi sotto le gambe e tornò a scrutare l’acqua. “Vedo il Mondo Specchio” disse. “Una città circondata da campi, boschi in lontananza.”
Allora capì, gli occhi le si riempirono di lacrime e la vista si sfocò. Rimase immobile, il corpo congelato in posizione prona, i capelli corvini che sfioravano l’acqua infrangendone le visioni. Quando si alzò era buio fitto e faceva freddo.
“Dunque?” chiese Marta, fissando per un attimo gli occhi nei suoi.
Lara poteva sentire che il proprio volto aveva assunto una piega dura, che non se ne sarebbe più andata.
“Non è come pensi, ci saranno trattative. Mio zio penserà a tutto” disse lasciando che le lacrime seccassero sulle guance.
“Allora andiamo” rispose Marta guardando la luna.
Erano dieci lunghi anni che suo zio Alfonso e la congrega preparavano quel rito, da quando era venuta al mondo una bambina capace di vedere il Mondo Specchio attraverso ogni superficie riflettente. Tutta la loro esistenza aveva preso a ruotare attorno a Lara, alla necessità di raggiungerla e istruirla. Erano passati dieci anni da quando si era trasferita nella villa in collina dello zio e in tutto quel tempo non aveva fatto altro che studiare, per recuperare gli anni di scuola perduti durante l’infanzia ma soprattutto per prepararsi a officiare il rito. Aveva studiato innumerevoli libri di alchimia e magia cerimoniale, aveva meditato e pregato per gran parte delle sue notti insonni, annullato se stessa per accogliere un’altra essenza nella sua. Tutto questo aveva fatto per poter officiare il rituale di quella notte.
Non ci furono cenni di saluto o istruzioni dell’ultimo momento. Tutto si svolse nel silenzio più assoluto. Marta e Lara scesero la scalinata lentamente, accolte dalle streghe e dal vecchio alchimista, imponente nelle vesti sacerdotali. Accanto a lui stava Nero, il giovane filosofo precettore di Lara, con le mani allacciate dietro la schiena che gli conferivano un aspetto formale. Le sorrideva, incoraggiante come sempre, e Lara si chiese cosa veramente pensasse di lei.
Poi la congrega iniziò a muoversi verso il bosco e la sua mente si svuotò. Percepiva il terreno freddo, l’aria carica di pioggia, l’odore resinoso dei pini e il nervosismo delle accolite, ma nulla di tutto questo la riguardava.
“Porta la carne al rito e la mente al fine”, si ripeteva avanzando a occhi chiusi e piedi scalzi.
Quando la processione si fermò aprì gli occhi. Si trovavano nella piccola radura che si apriva al centro del bosco dietro la villa. Una nebbia chiara usciva dal folto degli alberi, resa traslucida dalla luce della luna. La stessa luce si rifletteva sul grande specchio, che saldamente ancorato al suolo si ergeva imponente nello spiazzo erboso. Dopo un attimo di muta contemplazione le novizie tracciarono un cerchio di sale attorno allo specchio e si allontanarono.
Lara avanzò lentamente, sicura, e vi s’inginocchio davanti. Accanto a lei brillava gelido il contenitore d’argento che presto avrebbe grondato sangue. Il suo riflesso sorrideva, impaziente, dietro allo sciame di fate mosche che la fissavano incuriosite.
Lo zio prese a camminare lentamente in senso orario purificando il circolo, mentre le streghe guidate da Marta si disponevano all’interno dello spazio consacrato.
“Fuoco che vado creando, t'impongo questo comando, che nessun fantasma resti in tua presenza. Per l’acqua e per il fuoco io ti evoco, che né ostilità né pensiero avverso restino in questa coppa” disse gettando acqua e sale nel bacile.
Lara si alzò in piedi e afferrò il coltello rituale. Con acqua e incenso purificò la lama, poi tracciò nell’aria i simboli alchemici degli elementi. “Tu sia benedetto, coltello dell’Arte” bisbigliò baciando la lama affilata.
Quando il circolo fu consacrato Marta le consegnò il suo sacrificio, un coniglio bianco dalle orecchie lunghe. Senza esitare Lara lo sollevò sopra il bacile d’argento e gli tagliò la gola. Non appena il sangue iniziò a sgorgare le fate mosche si agitarono, fameliche, brulicando ai margini dello specchio.
Lara s’inginocchiò tenendo l’animale esanime tra le braccia, lo baciò e lo consegnò alla seconda strega. Ripeté sette volte il sacrificio prima di alzarsi e pronunciare, stremata, la supplica.
“Io ti evoco e imploro, spirito dei due mondi, per i poteri che hanno generato i cieli, le terre e i mari; per le virtù degli astri che ruotano all’interno delle sfere celesti” si fermò e alzò lo sguardo. La luna, nitida nell'aria gelida, le sorrideva. “Per le virtù dei quattro elementi e dei quattro venti; qui, in questo luogo di sacrificio e di sangue, io ti evoco e imploro. Apri i portali dei mondi poiché è vero senza menzogna, certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso: per compiere il miracolo della Cosa Unica che è l’Ibrido.”
Sentiva i tatuaggi farsi di fuoco sotto la pelle mentre tutto il suo essere era concentrato nel realizzare i gesti che la sua mente aveva percorso migliaia di volte. Sollevò il bacile colmo di sangue ancora caldo reggendolo in alto e le maniche della veste scivolarono scoprendo le braccia pallide bagnate di rosso cupo. Trattenne il fiato e rovesciò il sangue sullo specchio, che parve assorbirlo, era un lago che rifletteva una luna di sangue.
La congrega iniziò a salmodiare, dapprincipio con voce flebile ma più stentorea ogni momento. “Ibrido” sussurravano. “Ibrido” ripetevano con più forza, dando alla voce il potere della creazione.
Lara gridava con loro, senza staccare gli occhi dallo specchio. In principio era quieto, poi sembrò ribollire. Dal sangue emersero lentamente le fate mosche che sbattevano freneticamente le ali fradice. Cozzavano l’una contro l’altra, cercando di uscire e allo stesso tempo di bere il più possibile.
Il coro aveva preso un tono concitato che divenne isterico quando la superficie di sangue si spezzò ed emerse il mostro. Il doppio di Lara squarciò il velo dei mondi, grondante. Gli occhi vitrei erano spalancati e vagavano sulla radura.
Lara era scossa dai brividi. Attorno a lei avvertiva solo un vorticare denso d’energia, non riusciva più a distinguere le forme dei corpi. Pensò di svenire e sentì che le gambe le venivano meno, ma non cadde. Rapido come un sogno il suo riflesso la prese tra le braccia, sostenendola.
Niente sembrava avere peso. Tutto era leggero e friabile. Un nugolo di fate l’avvolse in una nube nera e Dolore si unì a loro in una danza forsennata.
Prima di perdere conoscenza udì lo zio che proclamava: “È l’Ibrido, è stato creato. Aprite il circolo, mie dilette, e muovete i primi passi nel nostro nuovo mondo.”
Si svegliò nella sua stanza, i primi raggi di un sole pallido le sfioravano il volto. Si mise a sedere sentendo i muscoli indolenziti e un dolore lancinante alla testa, ma non importava. L’Ibrido era stato creato, solo questo contava. Nella nube inarticolata dei suoi pensieri avvertì una presenza estranea ma allo stesso tempo familiare. Senza indugiare oltre si alzò in piedi e barcollò fino alla toletta. Non appena si mosse notò che tutto intorno a lei si svegliavano le fate. Alcune si alzarono in volo e le si avvicinarono, altre batterono fiaccamente le ali, ancora stordite dal banchetto di sangue.
Sedette sullo sgabello e guardò la sua immagine riflessa nello specchio. Per la prima volta da quando aveva memoria, ciò che vedeva corrispondeva alla realtà. Era molto pallida e i capelli erano arruffati, ma non era cambiata molto. I suoi lineamenti erano rimasti gli stessi, solo gli occhi erano diversi. Le iridi quasi nere a cui era abituata avevano lasciato il posto a un candore vitreo e non riusciva a fermare il moto frenetico delle pupille.
“Così siamo insieme, ora” sussurrò.
Sapeva che sarebbe successo, aveva desiderato quell’unione con tutta se stessa ma constatarla sul suo stesso viso la scosse.
“Hai paura?” chiese una voce asciutta nella sua mente.
“No” rispose Lara. “Sono felice.”
“Ci fa male la testa, dobbiamo prenderci cura del nostro corpo.”
“Lo so.”
“Assumi un farmaco, poi dovremo mangiare.”
“Sì.”
In un attimo era di nuovo in piedi, sorretta da una volontà più forte della sua. Iniziò a frugare nella scatola delle medicine alla ricerca di ibuprofene ma si bloccò di colpo.
“Aspetta” disse. “Lo specchio.”
Corse fuori dalla stanza con indosso solo la veste da notte e sgattaiolò per i lunghi corridoi, le fate che la seguivano pigramente. Scese le scale ed entrò nel salone deserto.
Lo specchio era stato riportato lì, incrostato di sangue ormai secco che lasciava intravedere ciò che stava dall’altra parte. Lara rimase dritta davanti ad esso, nel salone immerso nella penombra, guardando a occhi sgranati gli incendi e la desolazione. Sulle praterie sconfinate s'intravedevano carovane di profughi ed eserciti in marcia. Quand’era bambina quelle visioni di campi e distese erbose l’avevano spaventata. I paesaggi erano immensi, troppo grandi. Il verde era troppo cupo e le montagne troppo ripide. Ora, invece, provava pietà. Ora che sotto il suo sguardo incredulo il Mondo Specchio veniva scosso dalle fondamenta senza che alle sue orecchie giungesse alcun suono.
Passarono alcune ore e Lara non mosse un muscolo. Infine, con rapidità indolente, lo specchio si oscurò e tornò ad essere un’antica superficie riflettente. Suo zio avrebbe pensato a tutto, una fase di transizione era stata prevista, ci sarebbero state delle vittime, non si poteva pensare di mettere in atto un cambiamento epocale senza pagare un prezzo.
Lara restò dritta a fissare la propria immagine. Era una figura snella dai capelli corvini. Gli occhi erano del colore del ghiaccio e tutto intorno a lei sciamavano le fate mosche. “Siamo insieme, ora” sussurrò, senza poter definire chi esattamente avesse parlato.
Gettò un’ultima occhiata allo specchio, il terrore di un tempo lontano quanto il mare, e gli voltò le spalle. Le fate frinivano di gioia.
Ho una trentina d’anni, una laurea in filosofia e una specializzazione in semiotica, sono romagnola ma ho studiato a Torino, poi ho vissuto e lavorato in Inghilterra e mi trovo ora in terra spagnola per un anno di volontariato.
Ad oggi ho pubblicato due romanzi (Ibrido con editrice GDS e Le guardiane con Damster editore), sul web c’è qualche mio racconto (Gaby, la morte e la lavanda su Fantasy Magazine; La masca su Speechless magazine) ma soprattutto continuo a cimentarmi in nuove sperimentazioni narrative e curo il blog Maledetta Tastiera.
Nessun commento:
Posta un commento