DATA DI PUBBLICAZIONE ebook: 10 Dicembre 2016
TITOLO: David
SERIE: Jaguarà #4
AUTORE: Margaret Gaiottina
EDITORE: self publishing
GENERE: romance m/m
Anche un corpo piagato dalla sofferenza può essere splendido e struggente nello stesso tempo. Impossibile da credere per David, primogenito dei Saxton ed ex impeccabile uomo di successo. E, tanto meno, lo è per Morgan Wollstoncraft, signore luciferino delle corse d’auto, abituato a disprezzare i più deboli e indifesi. David sarà chiamato a scegliere tra il bisogno di amare che gli brucia dentro e il senso di colpa che lo divora. Avrà questa volta il coraggio di rischiare, di mettere in gioco tutto se stesso solo per amore?
Capitolo uno
La solitudine aveva lasciato il segno. Il ricordo di Valter non lo abbandonava mai, anzi, si acutizzava dolorosamente ogni volta che David era costretto a prendere atto della propria menomazione. Eppure, se Valter fosse stato ancora vivo, gli avrebbe detto che quello stesso corpo spezzato poteva essere ancora splendido e struggente.
Non c’erano storie. Chiunque avesse incontrato di nuovo David Saxton, un anno e mezzo dopo lo scontro a fuoco nelle Poconos Mountains, non lo avrebbe facilmente riconosciuto. Vedendolo a bordo pista sul Circuit of America di Austin, in Texas, chiunque avrebbe affermato che David era un uomo diverso. E definirlo tale era ancora poco, rifletté, mentre un ultimo raggio di sole al tramonto gli illuminava la barba trascurata e lo sguardo torbido riflesso sullo schermo spento del cellulare. Cominciò a slacciarsi il colletto della tuta con movimenti impazienti.
Solo pochi mesi prima il crogiolarsi in quella trascuratezza sarebbe stato impossibile da immaginare, quando era ancora solamente il primogenito della famiglia Saxton, cresciuto nel mito dell’uomo perfetto, inflessibile e duro come il diamante. Ma ora, dopo essere passato attraverso l’esperienza del dolore ed esserne uscito distrutto, quel naufragare lento nella vita era solo la semplice realtà.
Guardò il cielo. Il desiderio, quello, era ancora lì da qualche parte ma non riusciva a irrorargli la pelle. Sì, avrebbe voluto affondare ancora in un corpo turgido, palparne i glutei sodi e accarezzarne la pelle cosparsa di peluria setosa. Ma quando ci pensava sentiva le mani diventare secche e nodose come quelle di un cadavere mummificato e il corpo da amare veniva cancellato dalla visione del sangue. A riportarlo alla realtà fu lo squillo del telefonino.
Lo estrasse di tasca con un sospiro esasperato, consapevole che si trattava di affrontare le conseguenze della sconfitta. Controllò il display e ne ebbe la conferma.
Era almeno la ventesima telefonata del Grande Capo Estajoca, ma quando David lo richiamava non rispondeva nessuno, probabilmente a causa del chiasso infernale dei motori e della difficoltà per l’indiano di udire la suoneria del proprio cellulare. Si rinfilò in tasca il telefono, trovò il baricentro tra la gamba sana e l’arto meccanico che si ritrovava e si diresse con passo lento e lievemente ondeggiante verso gli spogliatoi.
La vista dello squallido cubicolo di cemento grezzo tipico degli impianti sportivi non poté certo risollevargli l’umore, mentre si toglieva la tuta con movimenti lenti e misurati cercando inutilmente di far sbollire la rabbia.
Doveva trovare un modo qualsiasi per non tornare a Sussex, questa era la verità, anche se non poteva prolungare ancora per molto la stagione delle corse. Per sfilare la gamba sinistra della tuta fu obbligato a sedersi. Infilò entrambe le mani sotto la stoffa per farla scendere.
Almeno quel supplizio della tuta sarebbe finito, ma sarebbe stato l’unico vantaggio. Gli era sempre piaciuta la guida veloce ma ora le corse erano diventate il centro della sua nuova vita fatta di dolore. Il pericolo, i bolidi e i giovani eroi lo distraevano. Fece sparire la protesi nella gamba di un paio di jeans. Si alzò trovando con facilità l’equilibrio.
Ormai era diventata questione di abitudine. Indossò velocemente una camicia oxford bianco e una giacca di cotone blu notte. Si ravviò i capelli ondulati e nerissimi nel piccolo specchio arrugginito. Erano ormai lunghi. Solo la nuca manteneva la nitidezza del taglio, mentre la barba scura gli induriva il viso incazzato. Come se ce ne fosse bisogno. Si allacciò i jeans, consapevole che la sconfitta lì ad Austin gli avrebbe precluso la Chase for Championship e lo avrebbe obbligato a considerarli la propria livrea ufficiale.
Ma lui, a Sussex Borough, proprio non voleva tornarci.
Aveva accantonato la vecchia vita alla testa della clinica di famiglia, un anno e mezzo prima. Era passato dall’altra parte, quella dei non perfetti, quella di coloro che avevano bisogno di cure invece di darle. Del resto, sarebbe stato comico restare nei panni del manager efficiente e sollecito quando la gamba meccanica al posto dell’arto perduto e il ricordo di Valter gli laceravano l’animo come un cane rabbioso attaccato alla carne. Fissò ancora una volta il cielo oltre la finestra a bocca di lupo degli spogliatoi e di nuovo la mano del giovane anestesista della clinica Saxton sembrò appoggiarglisi sulla spalla, un tocco bruciante come un tizzone acceso attraverso la stoffa della giacca.
Così come era accaduto per anni, quando lavoravano fianco a fianco in clinica, prima di trovare entrambi il coraggio di dichiararsi. David allora trasaliva e si voltava di scatto in cerca degli occhi di Valter, del suo sguardo leggermente velato e gonfio di una voglia tanto intensa da essere soffocante. Poi, la realtà deflagrò di nuovo.
Valter era morto e non sarebbe tornato più. Quella certezza elementare e catastroficamente dolorosa accompagnò David all’esterno, verso gli spalti, a cercare Estajoca per salutarlo.
Era arrivato il momento di affrontare di nuovo la realtà. Adocchiò la figura bruna e muscolosa dell’indiano a bordo pista.
Si ergeva maestoso come un totem. David sorrise.
Estajoka teneva in braccio la sua piccola mascotte, un procione che non era più in grado di camminare e dipendeva da lui in tutto e per tutto.
David sollevò una mano per segnalarsi al suo unico amico, l’unico a cui avesse permesso di avvicinarsi nell’ambiente delle corse.
L’indiano, grande e grosso, gli sorrise e continuò a nutrire il procione chiamato “All-in” come il casinò di Poarch della riserva di Atmore.
Avvicinandosi David notò che l’indiano stava passando all’animale degli acini d’uva con il volto talmente rilassato da far pensare a una madre.
Ammirò ancora un volta il poderoso petto nudo del muscogee e la raggiera di piume rosse attorno alla testa da sciamano. Era lui il meteorologo ufficiale del circuito Nascar.
«Ho tirato troppo il motore,» masticò David. Ammetterlo gli costava parecchia fatica.
L’indiano scosse appena il capo:
«Hai parecchio sangue freddo, amico mio. Molto più di quanto ne abbia visto in giro.»
David sbuffò e si girò dall’altra parte ma il muscogee insistette:
«Hai lasciato che tutti ti credessero solo un po’ zoppo. Ti rendi conto? Nessuno immagina che ti manchi un arto intero fino a metà coscia. Giusto?»
David continuò a non rispondere ma si portò le mani ai fianchi e si augurò con tutto il cuore che la predica finisse presto.
«Non lo sospetta nessuno. Quello che pensano tutti è “soltanto” che tu non abbia paura di morire.»
La meraviglia dell’indiano lo fece sorridere ancora una volta. Una mente magica come quella di Estajoca contemplava solo il ringraziamento dopo essere scampati a un grave pericolo, mentre per lui era rimasta soltanto la rabbia e la constatazione amara che vivere così non avesse alcun senso.
David prese un respiro guardando lontano:
«È così. Ti sembrerò ingrato.»
L’indiano annuì continuando a imboccare il procione.
«Allora ho una sfida che fa per te,» disse sollevando il viso nella notte.
David inseguì il suo sguardo. Erano comparse le prime stelle, poche e ancora pallide, ma erano comunque una piccola luce.
«Di cosa si tratta?»
«La corsa di Talladega, Alabama.» David sollevò un sopracciglio:
«Non devi tornare ad Atmore?»
«Ci andrò dopo la Good Shepherd Cup.»
«“Coppa del Buon Pastore”, – sussurrò David quasi a se stesso, – un nome che è tutto un programma.» Appoggiò i gomiti alla paratia sulla balconata e lasciò vagare lo sguardo sulle strie di erba rese brillanti dalle luci alogene. Si rese conto con malinconia, per la prima volta, che per lui la magia delle corse stava soprattutto nella possibilità di nascondere la menomazione sotto il cofano lucido e ruggente della Ford GT.
Si massaggiò la guancia quasi per nascondere il sorriso. La velocità imprendibile di quel mostro da mezzo milione di dollari quel giorno lo aveva tradito, ma c’era ancora un’occasione per far scorrere l’adrenalina e per portare alla vittoria la grande “V” bianca dipinta al centro del cofano in onore di Valter.
Fece un sospiro:
«Ok, vengo, ma devi darmi qualche altro particolare.»
L’indiano si sistemò il procione sulla spalla e subito l’animaletto gli si accoccolò al collo.
«Non ho nulla qui con me da mostrarti ma posso anticiparti che è la corsa per cui Morgan Wollstonecraft è diventato famoso.»
David si tormentò una tempia. Non era sicuro di aver sentito bene.
«“Quel” Wollstonecraft? » Non l’aveva mai incontrato ma ne aveva sentito parlare. Era una leggenda. Lo chiamavano “il boia” perché buttava fuori pista i rivali senza pietà e uno l’aveva anche ucciso. Gareggiare con lui sarebbe stato come volare senza ali, né rete di sicurezza. Se stava cercando un motivo valido per partecipare alla Coppa del Buon Pastore, poteva dire di averlo trovato.
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Saga Jaguarà:
1. Jaguarà - 18 Novembre 2013
2. Thiago - 11 Dicembre 2014
3. Samaritan - 5 Marzo 2016
4. David - 10 Dicembre 2016
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Grazie ragazze, manca davvero pochissimo sono molto emozionata! Spero tanto che David vi regali qualche istante di prezioso benessere e svago !
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