Titolo: Roman
Data di uscita: 25 gennaio 2016
Genere: erotic romance
Numero di pagine: 239
Roman
Un segreto ancora da svelare. La verità che torna dal passato e rischia di cambiare per sempre il futuro. Quando viene tradito da uno dei suoi, non immagina certo di tornare a casa con una bella donna, comprata al mercato nero della prostituzione. Lei è così… piccola, così… bella. Non riesce a smettere di desiderarla.
Alex
Un ladro in legge, un uomo senz’anima. Nessuno lo ha mai conosciuto, né ha mai avuto accesso ai suoi veri sentimenti. Il demone senza pietà è tornato, lui, che ha seminato morte in tutta San Pietroburgo per arrivare al potere e vendicarsi. Allora perché il pensiero di Selene lo ossessiona? L’idea di lei lo tormenta?
Nevskij
Un nome che intimorisce l’intera nazione; tutti si inchinano alla famiglia più potente. I Nevskij creano il loro destino, lo forgiano con mani dannate; governano senza scrupoli e corrompono menti. Niente è capace di fermare un lupo di Tambov, anche se questo significa calpestare l’amore.
La sua piccola luna è l’unica donna che non lo giudica, l’unica che punta i suoi occhi fiduciosi su di lui e lo accoglie, l’unica che, con la sola presenza, ha sconfitto l’uomo più potente di tutta la Russia.
“Sì, piccola, voglio salvarti, dammi la possibilità di farlo. Fidati di me” cercò di dirle con lo sguardo.
«Allora?» riprese. «Vuoi dirmi come ti chiami o hai ingoiato la lingua?» Spense la sigaretta nel posacenere di fronte. Due dita gli tremarono quando spinse il mozzicone dentro il coccio.
«Selene» proruppe, la voce flebile, quasi spenta.
Estratto lungo.
Prologo
Ritto e fermo al capezzale del fagotto magro sotto le coperte, la testolina piena di capelli ribelli e scuri, la fissava con gli occhi dell’innocenza. Era un bambino, ma sapeva bene cosa stava per accadere. Sua mamma l’aveva sempre messo in guardia dal voler essere come gli altri della sua età, sarebbe dovuto crescere in fretta, e lui l’aveva fatto per non darle una cocente delusione.
Portava un grosso peso sulle spalle. Niente giocattoli, solo sospetti; niente corse con gli amici per il giardino di casa sua, soltanto occhiate guardinghe attorno a sé, per non dare a vedere quanto fosse vulnerabile. Lui non poteva certo permettersi di tirare su col naso e piangere, altrimenti chissà cosa suo padre avrebbe pensato di lui, che fosse una femminuccia come tante. No, non poteva proprio dargli questa delusione.
Strinse le manine dietro la schiena. All’inizio a pugno, per sentire le unghie pungere fin dentro la pelle, poi, quando sua mamma sospirò sofferente, fu costretto a unire i piccoli palmi, perché il dolore di vederla stare male divenne troppo forte da sopportare, e rischiava di ferirsi sul serio.
Sì, sapeva cosa stava per accadere, ma non era ancora pronto a perderla. Era lei l’unica via di fuga, l’unica persona a stringerlo tra le braccia e a sussurrargli che tutto sarebbe andato a meraviglia. E ci credeva davvero, perché gli occhi della persona a cui voleva più bene non gli avrebbero mai mentito.
Le iridi verdi di sua madre si spostarono verso di lui. Si irrigidì d’un tratto quando gli sorrise. Il volto pallido così simile al suo… erano speculari, per non dire uguali. Anche se del padre aveva preso i tratti decisi, non c’era niente in lui dei lineamenti russi, o forse era ancora troppo piccolo, non si sentiva un uomo: in verità era solo un bimbo.
Cosa significava essere uomini? Aveva paura di chiederlo a suo papà. Quell’uomo era sempre sfuggente e non c’era mai. Lo lasciava solo, e anche la mamma soffriva per questo. Non li amava, non come avrebbe dovuto, questo lo percepiva. Era un bambino, ma non uno stupido. Si considerava piuttosto intelligente.
«Roman» lo chiamò sua madre.
«Mamma» rispose subito, cercando di trattenere dentro di sé le emozioni.
Facevano male, tanto male. Quasi non riusciva a fermare le lacrime, che minacciavano di scendere dai suoi occhi. Cercò di tenere un tono neutrale, per non dare a sua mamma l’idea che fosse un debole, ma lo sguardo dolce di lei lo consolò. Non c’era bisogno di nascondersi, perché lo capiva.
«Mamma, come stai?» Trotterellò verso il bordo del letto e si aggrappò con le manine alla coperta.
«Tu, piccolo…» gli rispose a fatica.
Non gli diceva mai come si sentisse, preferiva starlo ad ascoltare per ore intere senza interromperlo. Con il palmo raggiunse il corpo coperto della madre, ma poi subito dovette allontanarlo per asciugarsi il nasino. Mannaggia! Ce l’aveva messa tutta per non singhiozzare, ma niente di fatto. Le prime lacrime iniziarono a rotolare giù per le guance.
«Mamma!» urlò e balzò su di lei. Appoggiò il visetto disperato sull’incavo tra il collo e la spalla. Il profumo che tanto adorava gli riempì le narici, ma non bastò a tranquillizzarlo.
Lo sentiva. Lei stava andando via, lo stava lasciando. Solo. Non poteva lasciarlo solo, non avrebbe saputo come andare avanti, come vivere senza di lei. Nessuno poteva capire il vuoto che si provava a non essere come gli altri; non ce l’avrebbe mai fatta a sopportarlo.
«Mamma, ti prego, mamma!» Piangeva come un disperato, quando non avrebbe dovuto farlo.
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