Capitolo 6 - Rhys
Finalmente la giornata si era conclusa, i colori intensi di
un tramonto nella prateria tingevano il cielo di infinite sfumature di giallo e
arancio, ma quello spettacolo per Rhys significava solamente che adesso avrebbe
potuto farsi una doccia e chiudersi in camera sperando di non cedere nuovamente
al dolore, ma di sprofondare solo in un nero oblio senza sogni. Odiava i fine
settimana. Tutte quelle ore a disposizione con nessun altro impegno se non
quello di riposarsi. Lui non aveva bisogno di riposo, lui aveva bisogno di
sfinirsi lavorando così da non pensare e potersi abbandonare a letto senza
temere di rimanere sveglio per ore con la sola compagnia del suo senso di
colpa. Perché Dio hai preso Sean invece
di me? Si chiese Rhys per l’ennesima, inutile, volta in quei tre anni.
“Rhys hai un momento?” la voce profonda di Tom, il
sovrintendente del ranch, ruppe i tetri pensieri del giovane che si girò a
guardarlo “Possiamo andare dentro a parlare un attimo?” continuò l’uomo
indicando la grande casa padronale. Rhys annuì non potendo certo rifiutare il
colloquio, sperava solo che non fossero brutte notizie, in quel momento non
avrebbe potuto sopportare di essere cacciato e dover trovare un altro posto.
Tom lo fece accomodare nel suo ufficio, ma non si sedette
dietro la scrivania, prese posto al suo fianco così Rhys si sentì un po’ meno
come un ragazzino convocato nell’ufficio del preside. Rimase in silenzio
fissando l’altro uomo in attesa del perché di quel colloquio, ma nel frattempo
ne studiò il viso, rendendosi conto di non averlo mai osservato davvero. Erano
tre anni che non guardava veramente qualcuno e, quasi con stupore, si accorse,
per la prima volta, di quanto Tom fosse attraente. Nonostante fosse il
prototipo del sano e robusto ragazzone di campagna, nei suoi lineamenti c’era dolcezza.
I suoi profondi occhi color cioccolata erano caldi, ti mostravano tutta la sua
pacatezza, Rhys, per un attimo, ci si immerse lasciando indietro tutte le sue
preoccupazioni ed il dolore.
“Come sai qui siamo come una grande famiglia” la voce di Tom
riportò Rhys sulla terra facendolo sentire imbarazzato per i suoi pensieri
inappropriati. Cercò di non arrossire, l’altro oltre ad essere il capo era
probabilmente il prototipo dell’eterosessuale di campagna: bigotto e di vedute
ristrette. Riportò quindi la sua attenzione, questa volta solamente
professionale, su quello che Tom gli stava dicendo.
“Io cerco di far funzionare le cose qui al ranch, ma ci
vuole collaborazione da parte di tutti. I ragazzi si sono lamentati del tuo
atteggiamento Rhys, non è facile lavorare con te sei sempre così rigido. Non
c’è armonia. Non voglio sapere perché tu sia così ostile verso tutti, ma sono
costretto a dirti che, se il tuo atteggiamento non cambierà, sarò costretto a
mandarti via” la mano di Tom si posò sul suo ginocchio, come per confortarlo,
prima di continuare “Io sono il capo qui, ma per voi ragazzi ho sempre cercato
di essere un riferimento in caso di bisogno. Io non voglio mandare via nessuno,
se succede lo sento come una sconfitta personale. Io vorrei che tu rimanessi,
ma ti chiedo per favore di essere un po’ più collaborativo con gli altri. Non
devi fare chissà che, basta che tu ti sciolga un poco e, magari, qualche sera
ti siedi nella sala comune per una partita a carte o per guardare il football
alla tv”
“Io non seguo il football” fu tutto ciò che Rhys riuscì a
tirar fuori sentendo un groppo stringergli la gola. Sembrava che a Tom
importasse davvero di lui, dopo tanto tempo Rhys si sentiva parte di qualcosa e
non voleva perderlo “Ma sono bravo a poker” aggiunse per dimostrare che anche
lui ci teneva a rimanere lì.
Il sorriso di Tom e la sua mano che gli strinse nuovamente
il ginocchio in una presa gentile, furono sufficienti a dimostrargli che lì
poteva anche trovare un amico se avesse voluto. Per la prima volta dalla morte
di Sean, Rhys sorrise. Un timido sorriso, gli angoli della bocca leggermente
piegati verso l’alto, ma qualcosa, dopo tanto tempo, si riaccese nel suo
sguardo: la speranza.
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