Pensato come proseguio di Dodici Porte, primo romanzo della trilogia che ha come protagonista Lunar, Sei Pietre Bianche è stato concepito con una narrazione che lo rende un romanzo indipendente, che può essere letto e apprezzato anche da chi non conosce il primo episodio.
Sei pietre bianche che circondano un obelisco nero.
Sei varchi dimensionali.
Un nuovo viaggio alla scoperta delle proprie origini.
Un bambino da salvare, una Dimensione corrotta da una materia oscura, un Amore che ha atteso cento anni per potersi annunciare.
Lunar è tornata.
A tre anni dall'esperienza nella Casa e dalla violenza che l'ha messa di fronte a un duro processo di trasformazione, la giovane protagonista di Dodici Porte non è più una ragazzina. Abita da sola in un piccolo appartamento in città, studia e lavora. Accanto a lei il fedele cane Sinbad, su cui grava una maledizione che Lunar non conosce, e l'anello che le ricorda costantemente il legame con la Terra dei Morti.
Dopo l'ultima visione avuta fuori dalla Casa, nella quale un bambino veniva rapito da un gigante, la giovane non ha più avuto esperienze del genere, o contatti con altre Dimensioni. A volte stenta a credere che ciò che ha vissuto nella Casa sia davvero accaduto. Ma c'è l'amico Sinbad a ricordarle chi lei sia.
Lunar ha stretto amicizia con Odilon, un bambino dal passato misterioso che vive in orfanotrofio. Proprio la scomparsa del piccolo, ad opera di un essere spaventoso, riporterà la nostra protagonista e il suo amico a quattro zampe a contatto con le Dimensioni parallele.
Lunar e Sinbad, con l'aiuto di Altea, proveniente dai Cieli Razionali, si metteranno sulle tracce dei rapitori di Odilon. Ha inizio il viaggio attraverso sei portali dimensionali rapprensentati da sei lapidi bianche.
Di nuovo un percorso che è insieme scoperta di se stessi e di luoghi sconosciuti.
Di nuovo avventure formidabili che svelano quanto ci sia di sublime e oscuro nell'inconscio.
Un sogno ricorrente.
Ancora una notte, ancora quel sogno, ancora quelle immagini.
Sempre lo stesso, da tre anni. Ogni volta si aggiungeva un particolare che completava il quadro, ogni volta si svegliava con la stessa nostalgia e la voglia di tornare a casa. Anche se non sapeva dove fosse, ormai, la sua casa.
Il sogno iniziava sempre allo stesso modo. Vedeva i suoi piedi decorati con bellissimi tatuaggi color argento. Camminava calpestando candida sabbia, morbida come velluto e fresca. Le minuscole pietre che si mescolavano alla distesa sabbiosa riflettevano i bagliori notturni, allora alzava il capo a contemplare il cielo, sconfinato. Una stella cadente solcava la volta celeste, lasciando una scia luminosa che si dissolveva riassorbita dalla notte. All’orizzonte le Tre Lune sorgevano allineate. Tornando ad abbassare lo sguardo, poteva osservare la vastità del Deserto di Muna, volgendosi a est, l'immenso Bosco degli Alberi Neri e a nord in lontananza la sagoma scura del Palazzo con le sue guglie e le torri.
Una risata sgorgava argentina dal centro del suo cuore. Ecco la sua casa, ecco il regno cui apparteneva. Poi una scossa sotterranea la faceva trasalire e un brivido le percorreva la schiena. Guardando a terra vedeva con orrore che la sabbia aveva lasciato spazio a una voragine che correva lunga e profonda verso il Palazzo.
La crepa nera sembrava portare al centro stesso della terra. Lei restava a guardare inorridita l’oscurità, mentre una voce tetra saliva dal nulla.
Si svegliava proprio prima di cogliere ciò che la voce diceva. E fu a quel punto che si svegliò anche quella notte.
Riaprì gli occhi di scatto sentendosi perfettamente sveglia e lucida, assalita da quel desiderio viscerale di raggiungere la terra sognata, di salvare quel che restava di un mondo perduto.
Rimase sdraiata e immobile ad ascoltare il ticchettio incessante della pioggia sul lucernario. L’appartamento in cui abitava da qualche mese era immerso nel buio.
Sinbad era sdraiato al suo fianco, il costato si gonfiava e sgonfiava al ritmo tranquillo del respiro.
L’animale aprì gli occhi. «Non riesci a dormire?»
«Ho fatto di nuovo quel sogno, ma non capisco mai cosa dica la voce.»
«Non avere fretta» la ammonì il cane.
«Dopo tre anni che faccio lo stesso sogno? No, non c’è fretta» rispose lei sarcastica.
«Abbi pazienza Lunar. Il tempo è ormai prossimo.»
«Speriamo» sospirò lei «proverò a dormire ancora un po’.»
Fuori la pioggia continuava a cadere sottile, mentre il destino tesseva il disegno che, di lì a poco, avrebbe travolto nuovamente le vite di Lunar e Sinbad.
Paul
si avviò verso l’orfanotrofio, ma dopo pochi passi si voltò all’improvviso come
colto da un’intuizione.
«Lunar,
stai attenta» disse. Poi assunse un’espressione stupita quasi le parole fossero
uscite contro la sua volontà.
Lunar
ebbe un brivido, ma fece finta di non capire. «Attenta a cosa?»
Paul
sventolò una mano davanti al viso come e dire che non doveva badare a quel che
le aveva appena detto, le sorrise e si avviò in direzione dell’Istituto.
Lunar
guardò il biglietto che Paul le aveva appena dato chiedendosi se l’avrebbe mai
usato.
La
consapevolezza di essere in pericolo fu a un tratto palpabile.
«Vieni,
dobbiamo andare via di qui. Prendiamo l’altra strada, così il poliziotto non
vedrà dove siamo diretti» disse Sinbad.
Si
avviarono di corsa e s’infilarono in un vicolo buio. Per poco Lunar non cadde
distesa al suolo scivolando su qualcosa di viscido.
«Ma
che cos’è? Sembra muco...Sento uno strano odore, Sinbad. Ma chi ci sta
inseguendo? Non sarà uno di quegli Orchi orribili con le corna?»
«Non
credo si tratti di questo, ma hai ragione. Chi ci insegue non è di questo
mondo. Corri!»
L’anello
pulsava ed era diventato quasi incandescente, Lunar sentiva la carne bruciare
sotto il metallo.
L’odore
si fece più intenso, come un alito fetido e umido, ma l’inseguitore restava
invisibile e silenzioso.
Sbucarono
finalmente nella via secondaria che conduceva all’entrata dove li attendeva la
religiosa. Fu allora che Lunar percepì chiaramente un suono raccapricciante,
simile a un verso di animale, poi uno strisciare di carni molli e viscide.
Per
quanto Lunar e Sinbad corressero, l’inseguitore era sempre vicinissimo.
Potevano sentirlo muovere dietro di loro, a volte sembrava si spostasse anche
lungo la parete degli edifici ai lati della via. Lunar si chiese con orrore se
fossero più di uno. Qualcosa di molto simile a un tentacolo sfiorò la guancia
di Lunar lasciandole un velo di sostanza viscida e urticante sulla pelle,
strappandole un urlo disgustato. Anche Sinbad emise un grugnito di dolore:
quando erano insieme, le sensazioni di uno diventavano quelle dell’altro.
L’Istituto
era sempre più vicino. Mentre correva affannata, Lunar poteva vedere davanti a
sé la porta che rappresentava la loro speranza di salvezza. Come se fossero
stati spinti da un unico pensiero istintivo, Lunar e Sinbad compirono uno
sforzo al limite delle loro possibilità e iniziarono a correre ancora più
velocemente. L’inseguitore fu colto alla sprovvista e sentirono l’alito caldo
allontanarsi leggermente.
La
porta era ormai prossima.
Sarà
aperta o chiusa? Si
chiese Lunar.
Erano
oramai al traguardo quando Lunar ebbe la risposta al suo primo dubbio. Gli
inseguitori erano due.
Voltandosi
a guardare Sinbad, vide due grandi occhi marroni e liquidi, apparentemente
privi di corpo, sbucare sopra la spalla dell’amico.
«Attento!»
urlò Lunar.
«Attenta
anche tu!» le gridò Sinbad girandosi verso di lei.
Con
la coda dell’occhio, Lunar poté scorgere un’altra coppia di occhi marroni,
identici agli altri, proprio vicino al suo braccio. La creatura sbuffò e un
vapore fetido la colpì in piena faccia annebbiandole la vista.
La
porta era davanti a lei, ma sembrava sfuocata, sempre più sfuocata. Con orrore
Lunar si rese conto di non riuscire più a mettere a fuoco le immagini. Faticava
a respirare e le gambe sembravano sempre più deboli e pesanti. Allungò le
braccia e le sue mani sfiorarono la superficie della porta, ma questa scomparve
e al suo posto Lunar trovò il vuoto. Cadde a terra e non vide più nulla.
Lunar
e gli altri affrontano gli spettri.
A
mano a mano che si avvicinavano al punto, potevano percepire la crescente
angoscia e tensione che gli spiriti creavano.
Stranamente,
non ne avevano incontrato nemmeno uno, ne capirono il motivo quando arrivarono
in prossimità dell’apertura in cui erano nascosti i gemelli. Tutti gli spettri
della valle sembravano essersi dati appuntamento lì.
Un
muro contorto e brulicante di corpi e arti inconsistenti si stagliava di fronte
all’apertura in cui i bambini si nascondevano.
Odilon
e Nabis stavano ingaggiando una lotta contro le malvagie entità e gli spiriti
sembravano essere eccitati dalla resistenza che i due bambini stavano
opponendo, tanto che non si avvidero dei nuovi venuti.
Lunar
e Altea attesero che Albedo atterrasse sulla cima del canalone, creando un po’
di scompiglio. Quando il grosso Drago Bianco planò sulla roccia, il muro di
spiriti fu scosso da un fremito e in molti si lanciarono all’attacco dell’animale.
Altea,
Lunar e Sky ne approfittarono per correre in avanti tentando di guadagnare
l’entrata alla roccia, mentre Acrax si esibiva in picchiate diversive.
Per
quanto Albedo riuscisse a impegnarne molti, ancora tanti altri ne restavano
alla base del canalone, e si gettarono voraci sulle due donne, trovandole
pronte ad accoglierli. Altea era riuscita a erigere una barriera mentale
intorno a sé, che le permetteva di avanzare lentamente, mentre Lunar procedeva
con i palmi argentei rivolti verso i nemici, il bagliore purificatore sembrava
infastidirli.
Il
lupo nero, invece, proteggeva Altea e Lunar dagli assalti provenienti dalle
retrovie.
La
tecnica protettiva sembrava funzionare, ma gli spettri erano tanti e troppa era
l’energia spesa per resistere ai loro attacchi.
L’imbocco
del nascondiglio di Odilon e Nabis si trovava proprio lì vicino, eppure
sembrava irraggiungibile e i gemelli non si vedevano.
Lunar
cercava di non prestare attenzione a ciò che gli spiriti dicevano o facevano e
per un po’ ci riuscì, poi la stanchezza ebbe il sopravvento e gli occhi
cominciarono a indugiare sui volti dei dannati. Visi orripilanti contorti da
smorfie di angoscia e dolore, corpi mutilati e scene di violenza di tutti i
generi, orge e atti osceni. Sembrava che si fossero concentrate in quei pochi
metri tutte le sofferenze e le brutture del mondo.
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